Virginia Woolf su Anton Cechov
“Le nostre prima impressioni di Cechov non sono di semplicità ma di sconcerto. Che cosa vuol dire, e come può credere che si possa fare un racconto con questo?, ci domandiamo a misura che leggiamo i suoi racconti. Un uomo si invaghisce di una donna sposata, si separano, si incontrano, e alla fine restano a parlare della loro situazione, a domandarsi in che modo avrebbero potuto rompere <quegli insopportabili ostacoli>. <Come fare? chiedeva lui disperato: come? E sembrava loro che, ancora un poco, e la soluzione si sarebbe trovata; e allora avrebbe avuto inizio una vita nuova e bella>. Così finisce il racconto. Ma sarà davvero la fine, ci chiediamo? Piuttosto abbiamo la sensazione di aver omesso, senza accorgerci, qualche particolare importante; oppure come se una melodia si fosse interrotta, senza aspettare che gli accordi attesi venissero a chiuderla. Questi racconti sono inconcludenti, diciamo, decisi a impostare la nostra critica sul presupposto che i racconti debbano finire in modo attendibile. Ma questo significa mettere in dubbio la nostra attitudine alla lettura. Quando la melodia è familiare e il finale enfatico – gli amanti vengono riuniti, i cattivi debellati, gli imbrogli chiariti -, come in quasi tutta la letteratura d’immaginazione vittoriana, non possiamo in verità sbagliare; ma quando la melodia è poco familiare, e alla fine troviamo un punto interrogativo, o semplicemente l’informazione che i personaggi continuano a parlare, come capita con Cechov, ci vuole un senso della letteratura assai coraggioso e all’erta, per riuscire a scorgere la melodia, e in special modo quelle ultime note che completano la melodia… ma una volta che l’occhio si è abituato alle sfumature, la metà dei finali della letteratura d’immaginazione svaniscono nel nulla; diventano schermi trasparenti con una luce dietro: vistosi, ovvii, superficiali. La generale resa dei conti nell’ultimo capitolo, le nozze, la morte, la dichiarazione di valori etici od estintivi sonoramente annunciata al suono delle trombe, pesantemente sottolineata, diventano tutti rudimentali artifici. Sentiamo che niente è stato risolto; che nulla è rimasto saldamente sistemato. D’altra parte, quel metodo che all’inizio ci sembrava così arbitrario, inconcludente, troppo attento alle banalità, ora ci sembra il risultato di un gusto squisitamente originale ed esclusivo, il quale arditamente scende e infallibilmente ordina i suoi elementi, controllato da un’onestà che si trova soltanto fra gli stessi russi.”
(Virginia Woolf su Anton Cechov, tratto da nota introduttiva a “La steppa”, contenente racconti di Cechov, ed. Garzanti del 1966)