Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

Archivio per il tag “sogno”

“La tempesta” (William Shakespeare)

la tempesta

“Mi pare, figlio mio,
che tu sia agitato come da paura:
non temere. Il nostro gioco è finito.
Gli attori, come dissi, erano spiriti,
e scomparvero nell’aria leggera.
Come l’opera effimera del mio
miraggio, dilegueranno le torri
che salgono su alle nubi, gli splendidi
palazzi, i templi solenni, la terra
immensa e quello che contiene; e come
la labile finzione, lentamente
ora svanita, non lasceranno orma.
Noi siamo di natura uguale ai sogni,
la breve vita è nel giro d’un sonno
conchiusa.
Sono turbato, signore: perdono,
sono debole, la mia vecchia mente
vacilla. Non vi agitate per questa
mia sofferenza. Se volete, intanto,
andate nella grotta a riposare;
io farò qualche passo qui d’intorno
per calmare lo spirito sconvolto.”
(William Shakespeare, “La tempesta”, ed. Oscar Mondadori, traduzione di S. Quasimodo.)

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“La storia dell’arte” (E. H. Gombrich)

Dalì

“Nei sogni sperimentiamo sovente la strana sensazione che persone e cose si fondano e cambino posto. Il nostro gatto può essere al tempo stesso una zia e il nostro giardino l’Africa. Uno dei principali pittori surrealisti, Salvador Dalì (nato nel 1905), che ha trascorso molti anni negli Stati Uniti, ha tentato di imitare nei suoi quadri la magica confusione della nostra esistenza onirica. In alcuni dei suoi quadri egli mescola frammenti sorprendenti e incoerenti del mondo reale (dipinti con la medesima dettagliata accuratezza con cui Grant Wood dipingeva i suoi paesaggi) dandoci la sensazione ossessionante che questa apparente follia debba avere un senso. Guardando più da vicino la figura, per esempio, scopriamo che il paesaggio di sogno dell’angolo superiore destro, la baia ondosa e la montagna con la sua galleria, rappresenta al tempo stesso il muso di un cane il cui collare è anche un viadotto ferroviario sul mare. Il cane sospeso a mezz’aria e la parte centrale del suo corpo è formata da una fruttiera con pere, fusa a sua volta con il viso di una ragazza i cui occhi sono formati da strane conchiglie su una spiaggia costellata di enigmatiche apparizioni. Come in un sogno, certe cose, quali la corda e il panno, si stagliano con chiarezza inattesa, mentre altre forme restano vaghe e ambigue.”
(E.H. Gombrich, “La storia dell’arte”, ed. Einaudi)

Laocoonte

“Quando il gruppo del Laocoonte venne alla luce nel 1506, gli artisti e gli amatori d’arte ne furono letteralmente sconcertati. Vi è raffigurata la drammatica scena descritta anche nell’Eneide: il sacerdote troiano Laocoonte ha ammonito i suoi compatrioti di non accogliere il gigantesco cavallo in cui si nascondono soldati greci; gli dèi, che vedono ostacolati i loro progetti di distruggere Troia, mandano dal mare due giganteschi serpenti che stringono nelle loro spire il sacerdote e i suoi sventurati figli soffocandoli. È il racconto di una delle crudeltà insensate perpetrate dagli dèi contro poveri mortali, tanto frequenti nella mitologia greca e latina. Ci piacerebbe conoscere che effetto facesse la storia dell’artista greco che concepì questo gruppo impressionante. Voleva forse farci sentire l’orrore di una scena nella quale una vittima innocente viene straziata per aver detto la verità? O intendeva mostrarci soprattutto la propria capacità di raffigurare una lotta straordinaria e terrificante tra l’uomo e la bestia? Aveva ben ragione di inorgoglirsi della sua perizia. Il modo con cui i muscoli del tronco e delle braccia rendono lo sforzo e la sofferenza della lotta disparata, l’espressione di strazio nel volto del sacerdote, le contorsioni impotenti dei due fanciulli e la maniera nella quale tutto questo tumulto e movimento si cristallizza in un gruppo statico, hanno sempre riscosso l’universale ammirazione. Ma mi viene il dubbio, talvolta, che si trattasse di un’arte rivolta a un pubblico appassionato anche all’orribile spettacolo delle lotte fra gladiatori. Forse sarebbe un errore farne una colpa all’artista. Il fatto è che probabilmente nel periodo ellenistico l’arte aveva perduto ormai in larga misura il suo antico vincolo con la magia e la religione. Gli artisti si interessavano dei problemi della tecnica in quanto tale, e il problema di rappresentare un tema così drammatico con tutto il suo movimento e la sua espressività e tensione, era proprio una difficoltà atta a saggiare la tempra dell’artista. Se il destino di Laocoonte fosse giusto o meno, lo scultore non se lo domandava neppure.”
(E.H. Gombrich, “La storia dell’arte”, ed. Einaudi)

“Inattuabilità”

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“Molte donne vorrebbero sognare insieme con gli uomini senza andarci a letto. Bisogna far loro presente con decisione l’inattuabilità di tale proposito.”
(Karl Kraus, “Detti e contraddetti”, ed. Adelphi)

Opera: “Il bacio con la finestra”, Edvard Munch)

“Il pozzo” (Juan Carlos Onetti)

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“L’amore è una cosa troppo meravigliosa perché uno possa stare a preoccuparsi del destino di due persone che non hanno fatto altro che averlo, inspiegabilmente. Non mi interessa sapere che cosa può capitare al signor Eladio Linacero e alla signora Cecilia Huerta Linacero. Basta scrivere i nomi per accorgersi quanto è ridicolo tutto questo. Era amore ed era finito, non c’era né prima né seconda istanza, era un vecchio cadavere. Che importa il resto. Ma nell’istruttoria c’è una cosa che non riesco a dimenticare. Non cerco di giustificarmi; possono scrivere quello che vogliono quei topi di fogna del tribunale. È tutta colpa mia: non mi interessa guadagnare soldi né avere una casa confortevole con radio, frigorifero, stoviglie e un water impeccabile. Il lavoro mi sembra una sciocchezza odiosa cui è difficile sottrarsi. La poca gente che conosco non merita che il sole le arrivi in faccia. Che mi importa di loro, e della signora Cecilia Huerta Linacero.

Ma nell’istruttoria si racconta che una notte svegliai Cecilia, che <<minacciandola la obbligai e la portai all’incrocio della rambla con calle Eduardo Acevedo>>. Là <<iniziai a comportarmi in modo anomalo, obbligandola ad allontanarsi e a tornare da me camminando, più volte, e a ripetere frasi senza senso>>. Si dice che ci siano vari modi di mentire, ma il più ripugnante di tutti è dire la verità, tutta la verità, però occultando l’anima dei fatti. Perché i fatti sono sempre vuoti, sono recipienti che prendono la forma del sentimento che li riempie.”

(Juan Carlos Onetti, “Il pozzo”, ed. Sur)

Giunto alle soglie dei quarant’anni, Eladio Linacero decide che è il momento di scrivere qualcosa sulla sua esistenza, anche se ammette di non saper scrivere. Nelle neanche quaranta pagine che costituiscono questo romanzo breve, Onetti, del quale avevo già apprezzato “Gli addii”, ci fa conoscere un uomo scettico, disilluso, malinconico, cinico, pessimista, e lo fa attraverso pochi ma incisivi ricordi che il protagonista ci narra, a cavallo tra una realtà ricordata con amarezza e il mondo dei sogni nei quali, tra gli altri, gli appare Ana María, morta a soli diciotto anni e da lui conosciuta fugacemente.

Mi fermo qui perché il libro si legge tutto d’un fiato e non avrebbe senso dilungarmi ulteriormente sulla breve, ma densa e poetica trama. La prossima tappa che percorrerò nel mondo di Onetti è il più corposo “La vita breve”.

“Gran conforto: un sogno in cambio del vero.”

GENIO. Quale delle due cose stimi che sia più dolce: vedere la donna amata o pensarne?

TASSO. Non so. Certo che quando mi era presente, ella mi pareva una donna; lontana, mi pareva e mi pare una dea.

GENIO. Coteste dee sono così benigne, che quando alcuno vi si accosta, in un tratto ripiegano la loro divinità, si spiccano i raggi d’attorno, e se li pongono in tasca, per non abbagliare il mortale che si fa innanzi.

TASSO. Tu dici il vero pur troppo. Ma non ti pare egli cotesto un gran peccato delle donne; che alla prova, elle ci riescano così diverse da quelle che noi immaginavamo?

GENIO. Io non so vedere che colpa s’abbiano in questo, d’esser fatte di carne e sangue, piuttosto che di ambrosia e nettare. Qua! cosa del mondo ha pure un’ombra o una millesima parte della perfezione che voi pensate abbia a essere nelle donne? E anche mi pare strano, che non facendovi meraviglia che gli uomini siano uomini, cioè creature poco lodevoli e poco amabili; non sappiate poi comprendere come accada, che le donne in fatti non siano angeli.

TASSO. Con tutto questo, io mi muoio dal desiderio di rivederla, e di riparlarle.

GENIO. Via, questa notte in sogno io te la condurrò davanti; bella come la gioventù; e cortese in modo, che tu prenderai cuore di favellarle molto più franco e spedito che non ti venne mai per l’addietro: anzi all’ultimo le stringerai la mano; ed ella guardandoti fiso, ti metterà nell’animo una dolcezza tale, che tu ne sarai sopraffatto; e per tutto domani, qualunque volta ti sovverrà di questo sogno, ti sentirai balzare il cuore dalla tenerezza.

TASSO. Gran conforto: un sogno in cambio del vero.

GENIO. Che cosa è il vero?

TASSO. Pilato non lo seppe meno di quello che so io.

GENIO. Bene, io risponderò per te. Sappi che dal vero al sognato, non corre altra differenza, se non che questo può qualche volta essere molto più bello e più dolce, che quello non può mai.

TASSO. Dunque tanto vale un diletto sognato, quanto vale un diletto vero?

GENIO. Io credo. Anzi ho notizia di uno che quando la donna che egli ama, se gli rappresenta dinanzi in un sogno gentile, esso per tutto il giorno seguente, fugge di ritrovarsi con quella e di rivederla; sapendo che ella non potrebbe reggere al paragone dell’immagine che il sonno gliene ha lasciata impressa, e che il vero, cancellandogli dalla mente il falso, priverebbe lui del diletto straordinario che ne trae…

(Giacomo Leopardi, “Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare”)

Lì, ma dove, come (Julio Cortázar)

“Tu che mi leggi, non ti è mai capitata quella cosa che comincia in un sogno e che torna in molti sogni ma che non è quello, non è solamente un sogno? Qualcosa che è lì, ma dove, come; qualcosa che capita sognando, certo, puramente sogno ma dopo anche lì, in altro modo perché morbido e pieno di buchi ma lì mentre ti lavi i denti, nel fondo della coppa del lavabo continui a vederlo mentre sputi il dentifricio o metti la faccia sotto l’acqua fredda, e già assottigliandosi ma ancora lo senti afferrato al tuo pigiama, alla base della lingua mentre scaldi il caffè, lì, ma dove, come, incollato al mattino, con il suo silenzio nel quale già entrano i rumori del giorno, il radiogiornale perché abbiamo acceso l’apparecchio e siamo svegli e alzati e la vita continua. Maledizione, maledizione, ma com’è possibile, che cos’è questa cosa che fu, che fummo in un sogno ma è altro, torna ogni tanto ed è lì, ma dove, come è lì e dove è lì? Perché di nuovo Paco stanotte, ora che lo scrivo in questa stessa stanza, accanto a questo letto dove le lenzuola segnano l’impronta del mio corpo? A te non accade come accade a me con qualcuno morto trent’anni fa, che seppellimmo un giorno di mezzogiorno a Chacarita, portando sulle spalle la cassa insieme con gli amici del gruppo, con i fratelli di Paco?”

(Julio Cortázar, “Lì, ma dove, come”, in “I racconti”, ed. Einaudi)

Un sogno

Persone sedute al tavolo di un pub. Un uomo percepisce di trovarsi in un sogno.

– So che questo è un sogno, – dice.

Gli altri lo guardano, basiti.

Lui sa che è un sogno, vuole che il sogno continui, ma vuole, ha bisogno che anche gli altri siano consapevoli che è solo un sogno.

– Adesso scrivo su un foglio che siamo in un sogno, voi lo firmate e al risveglio ve lo mostrerò.

L’uomo prende la penna e un foglio, ma si chiede come potrà trasportare quel foglio fuori dal sogno. Intanto prova a scrivere; non appena la penna tocca il foglio, l’uomo si sveglia, ritrovandosi nel suo letto, solo.

L’uomo, a differenza di un tempo, ora sa che la consapevolezza di essere in un sogno uccide il sogno stesso, e prende atto di questa metamorfosi.

Sognare (un gatto) come atto di autoerotismo per eccellenza.

Pur avendo ormai assodato che il sogno è l’atto di autoerotismo per eccellenza, noialtri tuttora ipotizziamo che tra la realtà vissuta a occhi aperti e quella vissuta a occhi chiusi vi sia una certa differenza. Per esempio, a occhi aperti, percepiamo che qualcosa ci è successo solo a occhi chiusi, dunque distinguiamo tra “ciò che è frutto solo della nostra immaginazione” e “ciò che ha un qualche larvale fondamento nella cosiddetta realtà”. Eppure, noialtri che ci crediamo al di qua della linea di confine (il che non significa che lo siamo davvero) talvolta sentiamo che una falla gigantesca si sta aprendo nelle nostre sottili discriminazioni tra realtà e sogno. Può capitare, per dirne una, di sognare un gatto. Un gatto morto. Bianco e morto. Nel sogno, questo gatto s’infila nel nostro letto, ci tocca, fa le fusa (gergo felino), scodinzola, fa di tutto, insomma, per renderci felici, e ci riesce. Ora, questa storiella avviene mentre noi abbiamo gli occhi chiusi, e dunque, quando apriamo gli occhi, noi sappiamo che è stata solo un frutto della nostra immaginazione. Ciò non toglie che quella sensazione di avere il gatto addosso sia stata potente almeno quanto l’esperienza “reale” con il felino stesso ci aveva donato. La scienza spiegherà tutto ciò, ma a noialtri, nel cuore della notte, della scienza non può fregarci un cazzo. Noi sappiamo che quella sensazione notturna, vissuta da dormienti, è tutt’altro che fittizia o, per meglio precisare, è fittizia nella misura in cui poteva esserla quella provata quando il gatto era in vita. Tutto ciò, naturalmente, noialtri lo proviamo anche in relazione a situazioni meno feline, ma molto più umane, troppo più umane. A questo punto, però, noialtri, che siamo deliranti ma non ancora del tutto privati dell’organo chiamato cervello, preferiamo sorvolare su questioni più attinenti le misere/entusiasmanti relazioni/non relazioni tra esseri umani, e dunque rimandiamo a un altro capitolo l’affascinante (non dubitiamo che sia tale) argomento, certi che il lettore possa perdonare questa nostra colpevole fuga dalla scottante materia.

“Le città invisibili” (Italo Calvino)

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Sto leggendo “Le città invisibili” di Italo Calvino. L’inizio non mi ha entusiasmato, ma poi è stato un crescendo e spero che continui così. Non so se scriverò un altro articolo sul libro quando lo avrò finito (adesso sono a circa un terzo; magari modificherò questo, oppure no, non so e non conta molto) e, nel dubbio, prima di presentarvi un passaggio che mi è piaciuto molto, accenno sin d’ora alla trama, che poi non è tale nel senso classico della parola. Il libro è composto da differenti descrizioni di città immaginarie; Calvino si serve di Marco Polo, il quale racconta i suoi viaggi in queste città. Ad ascoltarlo c’è l’imperatore Kublai Kan, malinconico perché consapevole del vuoto che c’è dietro le sue conquiste.

Il libro è suddiviso in nove capitoli, all’interno dei quali c’è un’ulteriore suddivisione secondo le macro-tipologie di città. Troviamo così “La città e la memoria, “La città e il desiderio”, “La città e i segni”, Le città sottili”, “Le città e i segni”, “Le città e gli scambi”, etc, etc. Il lettore potrà, volendo, anche seguire un percorso diverso da quello ordinario, questo perché le singole descrizioni sono indipendenti l’una dall’altra, pur se i diversi temi si ripetono. In ogni caso, pur non potendo ancora esprimere un parere complessivo sul libro, pubblico il brano sottostante.

“A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano. Continua a leggere…

Il sogno polifonico

Come un romanzo, anche un sogno può essere scritto in prima persona, con l’io-narrante protagonista che fagocita tutto, in un lungo e delirante flusso di (in)coscienza. A volte, però, il sogno è polifonico. L’io sembra non esserci, e assisto ai dialoghi tra me e gli altri come se io fossi solo uno dei tanti personaggi presenti sulla scena, e non anche colui che sta scrivendo il sogno, né colui che ne è protagonista principale.  Questo genere di sogni appare, a una prima sommaria analisi, improntato a un realismo estremo. Non ci sono, a differenza che negli altri casi, sostituzioni di persona o salti spazio-temporali. Il sogno appare come una mera prosecuzione di un’interessante discussione Continua a leggere…

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