“Il fantasma di Boboli” (Firenze 17-21 luglio 2018)
In questo articolo sono ammassati i frammenti sparsi che il viaggio compiuto a Firenze mi ha ispirato. Non vi è una coerenza precisa, se non la Bellezza devastante di questa città.
Ho visto tramonti peggiori.
(Uscendo dall’appartamento che mi ospita, a pochi metri ho notato questa targa, che ricorda Carlo Levi nel periodo in cui visse proprio qui, a Piazza de’ Pitti.)
“Qui abitò tra il dicembre 1943 e l’agosto 1945 Carlo Levi.
Qui scrisse ‘Cristo si è fermato a Eboli’ e dipinse quadri fra i suoi più belli e umani, nella casa di Annamaria Ichino, per lui e altri sicuro rifugio dal nazifascismo e dalle persecuzioni antisemite.”
(Il fantasma di Boboli)
Al giardino di Boboli dovevo andarci l’anno scorso, ma quel giorno era chiuso, il treno del ritorno incombeva e quindi lasciai il fantasma di me stesso là, fuori dall’ingresso di Porta Romana, in compagnia di un altro bel fantasma, ma un po’ deluso da quella porta serrata.
Stamattina sono entrato da Palazzo Pitti, ingresso principale. Ho passeggiato nel verde, ho ammirato il panorama di Firenze, le vasche d’acqua, le grotte, il Museo della porcellana, ho percorso il viale dei cipressi e, a un certo punto, ho visto un cancello, l’ho riconosciuto. Era proprio quello di Porta Romana, stavolta aperto.
Ho compreso di trovarmi dall’altra parte e poi, che ci crediate o meno, ho visto lui, il mio fantasma, ancora là fuori, che chiacchierava con un altro fantasma, a dirla tutta molto più elegante del mio.
Mi sono avvicinato al cancello, quasi con la paura di rovinare la loro conversazione, ma curioso, incredulo nel constatare come lui, il mio fantasma, fosse ancora lì dopo otto mesi.
Anche lui si è accorto di me e mi ha indicato all’altro fantasma, che ha sorriso.
E infine, non so neanch’io come, arrivato a un paio di metri da loro, ho detto: “Potete entrare, che aspettate, non vedete che è aperto?”. Loro, all’unisono, mi hanno risposto, con una voce che non dimenticherò mai: “Aspettavamo che fossi tu ad aprirla.”
Poi, una volta entrati, abbiamo cominciato a ricordare tante cose, ma questa, in fondo, è un’altra storia.
“In questi pressi, fra il 1868 e il 1869, Fedor Mihailovic Dostoevskij compì il romanzo L’idiota”.
Ce l’avevo davanti agli occhi da due giorni ma, pur attento osservatore di ogni minima targa commemorativa, non l’avevo ancora vista.
Chi mi conosce può immaginare cosa significhi scoprire che 150 anni fa il mio scrittore preferito, Dostoevskij, scrivesse quel grandioso romanzo a tre metri da dove alloggio per questa trasferta fiorentina.
Il tutto mentre io, che avevo portato cinque fogli bianchi per scrivere qualcosa, sono riuscito ad appuntare solo gli orari dei treni e il nome di qualche locale. La targa si trova a Piazza de’ Pitti.
Quasi ormai sulla via del ritorno in provincia, ho rotto gli indugi, ho giocato d’anticipo, svegliandomi all’alba e alle 8.19 esatte sono entrato agli Uffizi, abbeverandomi alla fonte della Bellezza, novello Bacco caravaggesco.
“Ero già in una sorta di estasi all’idea di trovarmi a Firenze (…) Assorbito nella contemplazione della bellezza sublime, la vedevo da vicino, la toccavo per così dire. Ero giunto a quel livello di emozione, dove si incontrano le sensazioni celestiali date dalle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un tuffo al cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”.
(Stendhal, “Roma, Napoli, Firenze”)
Nel 1817 il grande Stendhal, autore tra l’altro di romanzi come “Il rosso e il nero” e “La Certosa di Parma”, visitò la Basilica di S. Croce, a Firenze.
Nel libro “Roma, Napoli, Firenze”, racconta della vertigine che lo colse all’interno della Basilica e che, in seguito, sarà appunto nominata come “sindrome di Stendhal”.
Ciao Firenze, ciao Ponte Vecchio, è tempo di tornare al mio paese, ma questo non è un addio, anche se non si sa mai, un addio è sempre in agguato.
Tornerò, forse da turista o forse addirittura da Re, quando sarò straricco, quando il Ponte potrò acquistarlo e trasformarlo in una gigantesca biblioteca vista fiume.
Ah, Firenze, hai visto che sono riuscito a passare su quel Ponte decine di volte in questi giorni, senza mai canticchiare quella canzone che Ivan ti dedicò?
Volevo fare una foto perfetta per salutarti, ma come vedi un furgoncino e una coppia di turisti si sono inseriti nell’inquadratura. Ma è giusto che anche loro passino da una sponda all’altra, costruendo ricordi, frugando nel passato, vivendo il presente, sospettando il futuro.
Beh, adesso vado davvero, anche perché mi si sta annebbiando la vista, sembra quasi che mi si stiano inumidendo gli occhi e il treno non avrebbe tempo di aspettare che io capisca se sono lacrime di gioia, di malinconia o un groviglio inestricabile di queste e altre cose.
“Ricordo i suoi occhi, strano tipo di donna che era
quando gettò i suoi disegni con rabbia giù da Ponte Vecchio.
– Io sono nata da una conchiglia, – diceva – “La mia casa è il mare e con un fiume no, non la posso cambiare”.