
“Per quanto riguarda voi, Amnos Fëdorovic, vi consiglierei di controllare un po’ meglio lo stato degli uffici pubblici. Nell’anticamera dove di solito i cittadini fanno la fila, i custodi tengono le oche con i paperotti che immancabilmente vanno a intrufolarsi tra le gambe della gente. Il fatto che ci si dedichi a un piccolo allevamento è certamente encomiabile, e non c’è nessun motivo di proibirlo… Solo, vedete, è la scelta del luogo che è inopportuna… Già da tempo avevo intenzione di dirvelo, ma me lo sono sempre dimenticato.”
(Nikolaj V. Gogol’, “L’ispettore generale”, ed. Garzanti)
Per motivi a me ignoti, pur essendo da sempre un grande ammiratore di Gogol’, nonché lettore di altrii suoii capolavori quali i “Racconti di Pietroburgo” e “Anime morte”, non avevo ancora letto “L’ispettore generale”, opera teatrale nella quale la magistrale e amara ironia dello scrittore raggiunge vette elevate.
“L’ispettore generale” causò malaesseri a Gogol’, perché non fu accolta bene, tanto che l’autore si vide costretto a difendersi a modo suo, scrivendo “All’uscita dal teatro dopo la rappresentazione di una nuova commedia”, un atto unico nel quale dava voce alle critiche del pubblico e poi, tra le altre cose, spiegava perché nell’Ispettore generale non fosse presente alcun personaggio positivo.
“L’ispettore generale” è una satira sull’ipocrisia, il malcostume, l’ingiustizia, la corruzione di una piccola cittadina russa, il cui Sindaco è spaventato dall’arrivo di un ispettore generale, proveniente da Pietroburgo. In realtà l’ispettore non è tale, bensì un perdigiorno che una serie di equivoci faranno assurgere a uomo temuto dal Sindaco, dal Sovraintendente alle opere pie, dal Giudice, dall’Ufficiale postale e dai miseri notabili della cittadina. Gogol’, al solito, è magistrale nel rappresentarci le meschinità e le ridicole bassezze morali di determinati tipi umani che, mutati tempi e luoghi, sono tutt’altro che scomparsi dai ranghi delle burocrazie odierne.
“E se l’autore inserisse nella commedia anche un solo personaggio positivo, e lo rappresentasse in tutta la sua attrattiva, gli spettatori, dal primo all’ultimo, passerebbero dalla sua parte, e dimenticherebbero completamente quelli che adesso li spaventano tanto (…).”
“Questo personaggio nobile e onesto è il riso. È nobile, perché ha deciso di intervenire nonostante l’opinione meschina di cui gode nel mondo. È nobile, perché ha deciso di intervenire anche a costo di procacciare all’autore una fama oltraggiosa, quella di freddo egoista, tanto che ora si dubita perfino della sua sensibilità. Nessuno è intervenuto in difesa del riso. Io sono il commediografo, l’ho servito onestamente e perciò adesso devo ergermi in sua difesa. No, il riso è molto più importante e profondo di quanto non si pensi. Non quello generato da un’irritazione effimera, dalla bile, da certe disposizioni morbose del carattere, e nemmeno il riso leggero che accompagna l’ozio e il divertimento; parlo del riso che sorge dalla limpida natura dell’uomo, dove è racchiusa la sua sorgente eternamente viva, e va al fondo delle cose, portando alla luce quello che altrimenti scivolerebbe via inosservato, e mostrandoci quella meschinità e vanità della vita che senza la forza del suo intuito non ci spaventerebbero come, invece, ci spaventano.”
(Gogol’, “All’uscita da teatro dopo la rappresentazione di una nuova commedia”, estratto contenuto nella prefazione a “L’ispettore generale”, ed. Garzanti)
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