– Stasera ti offrirò una birra, alle nove. Dove abiti?
Per quale motivo aveva accettato, sia pure rimandando al giorno successivo? Milena non sapeva rispondersi e, scrutando i volti riflessi nel finestrino della metro, ipotizzava un cambiamento di programma: scendere a Piazza di Spagna, starsene un po’ lì a zonzo e tornarsene a casa, lasciando il misterioso Arturo in sterile attesa. Sarebbe stato più razionale, ma lei, ora, aveva voglia di razionalità o piuttosto di altro? Inoltre, non avrebbe saputo spiegargli il perché di una ritirata. Non poteva scappare, non più. In fondo, il peggio che potesse succedere era trascorrere una serata noiosa; al meglio, preferiva non pensare, perché le incuteva ancora più inquietudine. Com’era stato possibile che, in un paio di settimane, quell’antipatia iniziale si fosse tramutata in questa destabilizzante sensazione di curiosità? Cosa si celava oltre i limiti che i ruoli da cliente e commessa imponevano loro?
Le voci degli altri passeggeri fungevano da morbido sottofondo alla danza di pensieri sconnessi che si librava nella testa di Milena. Adesso riviveva il drastico passaggio dal “lei” al “tu”; le si era avvicinato mentre riponeva alcuni libri negli scaffali e, senza premesse, le aveva rivolto quelle parole che, più che a una domanda, assomigliavano a un imperativo senza alternative.
– Eh… No, non posso, ho un impegno con… una mia amica, – aveva balbettato.
“Una mia amica”, questo era diventato Marco, ignaro, oltre che del sopravvenuto mutamento di sesso, anche dell’abisso che, inesorabile, si stava spalancando sotto di lui. Milena si chiedeva perché avesse mentito ad Arturo, invece di dirgli semplicemente che non voleva vederlo. E la risposta era tanto semplice quanto spiazzante: lei voleva vederlo. Aveva svicolato in quel modo poco convincente, tanto che adesso era sicura che Arturo, quella mattina, avesse già capito tutto. Si era tradita con quella due brevi ma significative pause.
Percepiva una metamorfosi in atto e, per quanto cercasse di rimandare le riflessioni a dopo l’incontro, autoconvincendosi che si stava solo recando a bere un bicchiere con un conoscente e nulla più, non poteva respingere l’orda sinaptica che la assaliva. A un pensiero ne seguiva un altro, ma tutto in modo caotico, senza che riuscisse a cogliere quale fosse, e se ci fosse, un punto dal quale dipanare la matassa. Cercava di scindere la curiosità per ciò che sarebbe accaduto di lì a poco da quel che, invece, era già fissato nella sua esistenza e destinato a finire. Arturo da una parte e Marco dall’altra. L’uno, privo di un passato e dall’ignoto presente; l’altro ancora presente, senza futuro ma con un gigantesco carico di passato. Non doveva mescolare le cose, l’incontro con Arturo non era necessariamente legato all’incombente fine della storia con Marco, eppure era inevitabile confondersi, e persino inquietarsi nell’ammettere che aveva una voglia enorme di parlare con l’odioso Arturo, mentre alla sola idea di Marco, dell’innamorato Marco, uno sbadiglio le saliva sulle labbra a certificare l’agonia di quella lunga storia d’amore, la prima e l’unica per lei. “Siamo labili, deboli, crudeli”, pensò, atterrita nel vedersi proseguire, comunque, verso l’ambigua destinazione Arturo.
– Ieri in realtà dovevo uscire con il mio ragazzo, – disse ad Arturo, venti minuti dopo, mentre seduti l’uno di fronte all’altro sorseggiavano una birra, parziale ristoro dall’afa terrificante di quella sera.
– Per me non cambia granché, ora sei qui, – rispose lui, con la solita aria glaciale, ma condita da un accenno di sorriso che fatalmente la investì.
Le venne voglia di vuotargli il boccale di birra in testa, proprio come avrebbe voluto fare con lo scaffale qualche settimana prima, per vedere se finalmente lui avesse dismesso quella maschera enigmatica. Ma anche stavolta non fece nulla, anzi restò attonita di fronte a quella risposta, a quello sguardo, a quel petto esuberante che, libero dai soliti vestiti eleganti che egli indossava, sembrava volesse esondare da una maglietta aderente. Milena smaniava per qualcosa d’indefinito, ma fece finta che tutto fosse sotto controllo, anche se davvero nulla lo era. Perché, altrimenti, oltre alla persistente voglia d’infrangergli un bicchiere in testa, aveva voglia anche di avvilupparsi a quelle labbra, per scoprire il sapore sarcastico del ghiaccio in cui sembravano essere intagliate?
(Gli altri frammenti nell’apposita sezione)
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