
Come ha giustamente scritto Zadie Smith nell’introduzione al libro, “Brevi interviste con uomini schifosi” non è tanto, o almeno non è solo, un libro sarcastico sulla misoginia, ma è anche una riflessione sulla “nostra incapacità di dare gratuitamente, o di accettare quello che ci viene dato gratis”. I personaggi descritti da Wallace nei racconti che compongono l’opera, sono accomunati, appunto, dall’incapacità di sentire l’altro, dall’impossibilità di agire senza un tornaconto egoistico, o per essere più precisi senza non riuscire a non sentire come anche il loro atto più generoso in realtà non sia tale.
Le “brevi interviste” del titolo sono immaginarie conversazioni tra un intervistatore, di cui non sono mai riportate le domande, e lo “schifoso” di turno, che racconta in prima persona le proprie nefandezze emotive. Ad esempio, c’è l’uomo che finge compassione per una donna piangente, ma il cui unico scopo è quello di portarsela a letto, c’è il mutilato che con subdole strategie riesce a far innamorare le donne di lui, c’è quello che di punto in bianco, nel bel mezzo di una tranquilla conversazione, chiede alla donna cosa penserebbe se lui le proponesse di legarla al letto, per godersi quel momento di esitazione sul volto di lei, c’è il malato terminale che rievoca i momenti successivi alla nascita del figlio e le conseguenze che quell’atto ha portato nei rapporti tra lui e sua moglie e così via, fino alla perversa mente di uno psicopatico alla prese con la sua vittima. Un libro certamente “difficile”, inquietante sotto vari aspetti e con minori momenti di evasione rispetto alle altre opere di Wallace. Del resto, considerati i temi trattati, c’era ben poco da evadere.
Ammetto anche di avere avuto la tentazione, circa a metà del libro, di saltare alcune pagine, non tanto per il contenuto, quanto perché un racconto era diventato un esercizio di stile, a mio modesto avviso esagerato. Per il resto, però, ancora una volta ho avuto la conferma di trovarmi di fronte a un cervello che vale la pena “frequentare”.
Chiudo segnalando il racconto sulla Persona Depressa. Rileggerlo oggi, sapendo la fine che ha fatto Wallace, è stato molto toccante.
“Devo ammettere che era un ottimo motivo per sposarla, pensando che meglio di così non mi poteva andare, visto che aveva un bel corpo anche dopo aver sfornato un figlio. Bellissime stupende gambe, aveva sfornato un figlio ma non era tutta sformata e venosa e floscia. Farà l’effetto di essere superficiale, ma è la verità. Avevo sempre avuto questo terrore incredibile di sposare una bella donna che poi ti sforna un figlio e si ritrova col corpo sformato ma tu devi continuare a farci sesso perché hai firmato di continuare a fare sesso con lei per tutta la vita. Farà un effetto orribile, ma nel suo caso lei era come garantita, il figlio non le aveva sformato il corpo, perciò sapevo che con lei potevo firmare a occhi chiusi e farci figli e cercare di comunque di continuare a fare sesso. Fa un effetto superficiale? Dimmi che ne pensi. O la pura verità su questo genere di cose fa sempre un effetto superficiale, sai com’è, le vere ragioni di ognuno, che ne pensi?”
“Quando vennero presentati, lui fece una battuta, sperando di piacere. Lei rise a crepapelle, sperando di piacere. Poi se ne tornarono a casa in macchina, ognuno per conto suo, lo sguardo fisso davanti a sé, la stessa identica smorfia sul viso. A quello che li aveva presentati nessuno dei due piaceva troppo, anche se faceva finta di sì, visto che ci teneva tanto a mantenere sempre buoni rapporti con tutti. Sai, non si sa mai, in fondo, o invece sì, o invece sì”.
(David Foster Wallace, “Brevi interviste con uomini schifosi”)
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