Causa ed effetto (della gastrite o di cosa?)
Rovistando in un cassetto in cerca di qualcosa, non so bene cosa e/o non è importante saperlo qui, m’imbatto in un taccuino giallo, sul quale trovo scritto, con la mia grafia, quanto segue: “Se la causa persiste, ma l’effetto non c’è più, significa che la relazione tra quella causa e quell’effetto non era necessaria, bensì solo una delle molteplici possibilità”.
Non so cosa avessi mangiato quel giorno e quale fosse l’argomento che mi aveva indotto a scrivere quelle parole (ero infatuato di qualcuna? avevo un attacco di gastrite?), ma so che, accanto alla riflessione, qualche tempo dopo aggiunsi: “Rileggere aforisma 112 della Gaia scienza”. E allora, visto che il caso mi ha condotto fin qua, ecco l’aforisma in questione.
“112. Causa ed effetto. Lo chiamiamo <<spiegazione>>, ma è <<descrizione>>, quel che ci contraddistingue dai gradi più antichi della conoscenza e della scienza. Noi descriviamo meglio, ma spieghiamo tanto poco quanto tutti i nostri predecessori. Abbiamo scoperto una successione molteplice, laddove l’uomo ingenuo e il ricercatore delle civiltà più antiche vedevano soltanto due cose: <<causa>> ed <<effetto>>, come si diceva; abbiamo reso perfetta l’immagine del divenire, ma non siamo approdati oltre l’immagine, dietro l’immagine. La serie delle <<cause>> ci sta in ogni caso dinanzi molto più completa; ne deduciamo che questo e quello devono procedere perché segua quell’altro – ma con ciò non abbiamo compreso nulla. La qualità, per esempio, in ogni divenire chimico, continua ad apparire un <<miracolo>>; allo stesso modo ogni propulsione: nessuno ha <<spiegato>> l’urto. Come potremmo mai giungere a una spiegazione! Operiamo solo con cose che non esistono, con linee, superfici, corpi, atomi, tempi divisibili, spazi divisibili – come potrebbe anche soltanto essere possibile una spiegazione, se di tutto noi facciamo per prima cosa una immagine, la nostra immagine! È sufficiente considerare la scienza come la più fedele umanizzazione possibile delle cose; impariamo a descrivere sempre più esattamente noi stessi, descrivendo le cose e la loro successione. Causa ed effetto: probabilmente non è mai esistita una tale dualità – in verità davanti a noi c’è un continuum, di cui isoliamo un paio di frammenti; così come percepiamo un movimento sempre soltanto come una serie di punti isolati, quindi, propriamente, non vediamo, bensì deduciamo. La repentinità con cui si mettono in evidenza molti effetti ci induce in errore: ma è soltanto una repentinità per noi. In questa repentinità dello spazio d’un secondo c’è una infinita accozzaglia di processi che ci sfuggono. Un intelletto che vedesse causa ed effetto come un continuum, non, al modo nostro, come il risultato arbitrario di una divisione e di uno smembramento, che vedesse il flusso dell’accadere – rigetterebbe il concetto di causa ed effetto e ogni condizionamento.”
(Friedrich Nietzsche, “La gaia scienza”, ed. Adelphi)
E quindi, cosa ne ho dedotto? Ho trovato una spiegazione? No, ma in questo mi conforta l’opinione del fisico John S. Bell, il quale, in un suo libro, scrisse che “il serpente non può ingoiare sé stesso dalla coda”. E se non può il serpente, perché dovrei potere io, che sono meno flessuoso?