“Il disprezzo” (Alberto Moravia)
(Alberto Moravia, “Il disprezzo”, ed. Bompiani)
“- In effetti che ne sappiamo noi dell’amore? – ha proseguito Herb. – E quel che dico, be’, lo dico davvero, se volete perdonarmi la franchezza. Ma, secondo me, siamo tutti nient’altro che principianti, in fatto d’amore. Diciamo di amarci e magari è vero, non ne dubito. Ci amiamo a vicenda e ci amiamo forte, tutti noi. Io amo Terri e Terri ama me e anche voi due vi amate. Sapete, no, di che tipo d‘amore parlo? Dell’amore fisico, quell’attrazione verso l’altro, verso il proprio compagno, e anche del semplice amore di tutti i giorni, l’amore per l’essere dell’altro, l’amare il tempo passato insieme, insomma tutte le piccole cose che costituiscono l’amore di tutti i giorni. L’amore carnale, dunque, e, be’, chiamiamolo pure l’amore sentimentale, la cura e l’affetto quotidiano per l’altra persona. Ma a volte ho grosse difficoltà a fare i conti con il fatto che devo aver amato anche la mia prima moglie. Però è vero, lo so che è vero. (…) C’è stato un momento in cui credevo di amare la mia prima moglie più della vita, abbiamo anche fatto dei figli assieme. Invece ora la detesto con tutto il cuore. Davvero. Voi come lo spiegate? Che cosa è successo a quell’amore? È stato semplicemente cancellato dalla grande lavagna, come se non fosse mai successo? Vorrei tanto saperlo, che fine ha fatto. Vorrei tanto che qualcuno me lo dicesse.”
(Raymond Carver, “Principianti”, ed. Einaudi)
“Chi cerca l’amore e va verso di esso impulsivamente, senza tenere conto della complessità della vita moderna è, se non un pazzo, almeno un temerario.
Non avete mai vissuto un momento nel quale fare ciò che in altri momenti risulta il più semplice e naturale degli atti, diventa improvvisamente un’impresa titanica?
Siete nella stanza d’ingresso di una casa. Di fronte a voi c’è una porta chiusa e, dietro la porta, seduto o seduta in una poltrona vicino alla finestra, c’è un uomo o forse una donna.
È il tardo pomeriggio d’un giorno d’estate, e avete deciso di avvicinarvi alla porta, di aprirla e dire:
– Non intendo più continuare a vivere in questa casa. Il mio baule è pronto e fra un’ora un uomo, al quale già ho dato l’ordine, verrà a prenderlo. Sono qui soltanto per dirti che non posso più continuare a vivere con te.
Siete dunque nell’ingresso, e tutto ciò che dovete fare è entrare nella stanza e dire queste poche parole. La casa è silenziosa e voi rimanete a lungo nell’anticamera, timoroso, esitante, senza aprire bocca. Lentamente vi rendete conto che siete giunti fino a lì in punta di piedi.
Per voi e per la persona che si trova dietro la porta è assolutamente consigliabile non continuare a vivere nella stessa casa. Questo dovreste dichiarare, ma probabilmente avete perso il buon senso. Perché non siete in grado di parlare giudiziosamente?
Perché vi riesce così difficile fare quei tre passi verso la porta? Le vostre gambe sono ancora in uno stato eccellente. Perché i vostri piedi sono tanto pesanti?
Siete un uomo giovane. Perché le vostre mani tremano come quelle di un vecchio?
Siete sempre stato convinto di essere un uomo coraggioso. Perché improvvisamente vi siete trasformato in una creatura debole e vile?
È divertente o è tragico sapere che non osate andare verso la porta, aprirla, ed entrando dire quelle poche parole senza che la vostra voce cominci a tremare?
Siete ancora in grado di controllarvi o siete praticamente come un pazzo? Perché quella ridda di pensieri circola senza tregua nel vostro cervello? Una ridda di pensieri che, mentre siete lì esitante, vi trascina già verso un abisso senza fine?
(Sherwood Anderson, “Molti matrimoni”, Robin edizioni)
“Sigmund non rispose: spesso ella lasciava cadere così il discorso abbandonandolo al suo senso di tragedia. Non aveva nessuna idea di quanto la vita di lui fosse sradicata; e quando egli aveva tentato di farglielo intendere, ella aveva deviato, lasciandolo così, nel suo intimo, assolutamente solo.
– Non c’è settimana prossima – affermò la donna con grande calore – non c’è che il presente.
Nello stesso tempo si alzò e gli guizzò vicina. Cingendogli il collo con le braccia, gli chiuse forte il capo contro il suo cuore, immergendogli le mani nei capelli: sentiva egli, stretta contro il seno di lei, le narici e la bocca. Aspirava l’odore delle sue vesti di seta, e il morbido, inebriante aroma del suo corpo; a occhi chiusi si ripeteva, serio, tra sé che ella era cieca sul suo conto. Ma un altro se stesso esultava felice, senza preoccuparsi che ella fosse o no cieca, ora che così gli premeva la faccia contro il suo seno. Gli lisciò e gli accarezzò i capelli; fremendo si serrò ancora il capo di lui contro il petto, come se non avesse voluto più sciogliersi da lui, e si chinò a baciargli la fronte. Egli la prese per le braccia e così rimasero per un po’, immobili.”
(David Herbert Lawrence, “Di contrabbando”, ed. dall’Oglio)
Pur non raggiungendo le vette di “L’amante di Lady Chatterley” e “Figli e amanti”, due libri che mi piacquero tanto e che con l’occasione consiglio, “Di contrabbando” mi ha confermato ancora l’abilità di D. H. Lawrence nel mostrarci la nascita, lo sviluppo, la decadenza di passioni amorose.
Il romanzo è, infatti, la storia del rapporto tra la violinista Elena, neanche trentenne, e il quasi quarantenne Sigmund, suo maestro di musica e amante. Sposato a Beatrice, con figli, Sigmund trascorre con Elena una settimana lontano dalla routine del quotidiano, all’insegna delle molteplici sensazioni che un’avventura clandestina del genere può offrire. Alla gioia del poter condividere con l’amato spazi di libertà altrimenti impossibili, all’ardore che può scoccare sotto il sole cocente di spiagge selvagge, si uniscono emozioni di verso opposto, quali l’angoscia del sapere che tutto è una parentesi e che presto, inesorabile, il Tempo arriverà a dividere nuovamente gli amanti. Il ritorno ai doveri coniugali e paterni, inoltre, sarà per Sigmund fonte di una drammatica resa dei conti con la realtà e con sé stesso.
Lawrence, con la sua prosa lirica e sensuale, ci mostra quindi il desiderio crescente tra la sognatrice Elena e l’apparentemente più rude Sigmund, la paura di un eccessivo coinvolgimento emotivo, il terrore puro del distacco ormai prossimo, ma anche le distanze, sottili ma non meno subdole, che i due, a contatto per più giorni, cominciano a cogliere.
Un libro, insomma, sull’estasi inquieta che una passione “di contrabbando” può donare e sulle conseguenze (non sempre piacevoli, a volte tragiche) dell’amore o dei suoi surrogati.
“- Sembra che ci sia ancora un’eternità prima del treno delle tre e quarantacinque, no? – ella insistette.
– Vorrei che non avessimo da tornare a casa mai più.
Elena sospirò.
– Sarebbe pretendere troppo dalla vita. Qualche cosa noi lo abbiamo avuto, Sigmund – disse.
Egli chinò il capo senza rispondere.
– Sì, caro, qualche cosa era – ripeté Elena.
Egli si levò e se la strinse tra le braccia.
– Tutto, era – disse con la testa affondata nella sua spalla nuda, profumata d’uno squisito e fresco odore di mare. – Tutto.”
“L’ora dell’incontro era arrivata! Ma realmente i corridoi si erano uniti e le nostre anime si erano toccate? Che stupida illusione era stato tutto questo! No, i corridoi continuavano a essere paralleli come prima, anche se adesso il muro che li separava era come di cristallo e io potevo vedere María come una figura silenziosa e intoccabile… No, nemmeno il muro era sempre così; a volte tornava a essere di pietra nera e allora io non sapevo cosa succedeva dall’altra parte, che ne era di lei in quegli intervalli anonimi, quali strane cose capitavano; e pensavo addirittura che in quei momenti il suo viso cambiava e che una smorfia di scherno lo deformava e che forse c’erano risa incrociate con un altro e tutta la storia dei corridoi era una ridicola invenzione o credenza mia e che in ogni caso, c’era un solo tunnel, buio e solitario: il mio, il tunnel in cui avevo trascorso l’infanzia, la giovinezza, tutta la mia vita.”
(Ernesto Sabato, “Il tunnel”, ed. Feltrinelli)
“Perché tutto può dimenticare una ragazza, tranne una relazione. La vita di società, è vero, mette in contatto con il bel sesso, ma non permette di iniziare un rapporto, perciò vale a ben poco. In società ogni ragazza si presenta difesa dalle sue armi, la situazione è sempre la stessa e non suscita certo brividi di voluttà. Invece per la strada si trova come in alto mare, cosicché tutto ha maggiore effetto e sembra più misterioso. Darei cento talleri per il sorriso di una ragazza in strada, ma neanche dieci per una stretta di mano in un salotto. La cosa è ben diversa. Si deve cercare la ragazza in società solo se qualcosa c’è già stato. Si stabilisce allora una comunicazione invisibile e segreta tra noi e lei, e questo è seducente e rappresenta il miglior incitamento che io conosca. Ella non osa parlarne, eppure ci pensa. Non sa se abbiamo dimenticato o meno. La si può ingannare ora in un modo, ora nell’altro.
Quest’anno non mi andrà tanto bene con le altre, sono troppo preso da lei! Il mio bottino, in un certo senso, resterà magro, ma in cambio ho la speranza di ottenere il primo premio.”
(Søren Kierkegaard, “Diario del seduttore”, ed. Giunti)
“Era pur sempre pronto ad amare tutte quelle immagini della vita. Ma ciò che non gli riusciva era di amarle senza riserva, com’è necessario per sentirsi a proprio agio nel mondo; da molto tempo su tutto quello che faceva e sentiva si posava come un alito di disgusto, un’ombra di impotenza e solitudine, un’antipatia universale, rispetto alla quale non riusciva a trovare una simpatia complementare.”
(Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, ed. Newton Compton)