Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

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Imbarazzi

Non m’imbarazzava essere da solo al tavolo, con una pizza, una birra e un Wittgenstein nascosto nella borsa alla stregua di un bottino.

Non m’imbarazzava la coppia che si era seduta a un metro da me e che discuteva del “più e del meno” (ma soprattutto del “meno”).

Non m’imbarazzava, ma comunque mi creava qualche prurito, la consapevolezza che, per non origliare i discorsi della coppia, io fossi costretto ad astrarmi dal contesto e gettarmi in una delle tante irrealtà possibili.

Quello che veramente m’imbarazzava, e mi faceva quasi paura, era ciò a cui ricorrevo per non essere lì, il contenuto che dava sostanza a quelle irrealtà, insomma i deliranti frutti della mia fantasia.

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“Questo è il re” (da “Ricerche filosofiche” di Wittgenstein)

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(Wittgenstein mi perdoni, ma propongo, a chi voglia, un “gioco linguistico” casareccio. Si provi a sostituire alla parola “re” la parola “cuore”, o simili, e alla parola “scacchi” la parola “amore” o “disamore”, a seconda del proprio momento. Se ne deducano i risultati eventuali. Poi, per carità, si torni a una lettura più confacente allo spirito originario dell’autore)

Mostrando a qualcuno il pezzo che rappresenta il re nel giuoco degli scacchi e dicendogli: << Questo è il re >>, non gli si spiega l’uso di questo pezzo – a meno che l’altro non conosca già le regole degli scacchi tranne quest’ultima determinazione. Si può immaginare che abbia imparato le regole del giuoco senza che gli venisse mai mostrato un vero pezzo per giocare. In questo caso la forma del pezzo corrisponde al suono o alla configurazione di una parola.

Ma si può anche immaginare che qualcuno abbia imparato il giuoco senza mai apprendere regole, o senza formularle. Per esempio, può darsi che dapprima abbia imparato, osservandoli, giuochi da scacchiera estremamente semplici e sia poi progredito a giuochi sempre più complicati. Anche a costui si potrebbe dare la definizione: << Questo è il re >> – per esempio mostrandogli alcuni pezzi da scacchi di forma a lui inconsueta. Anche questa definizione gli insegna l’uso della figura solo in quanto, potremmo dire, il posto in cui essa andava inserita era già preparato. Oppure anche: Diremo che questa definizione gli insegna l’uso, soltanto nel caso in cui il posto è già preparato. E in questo caso lo è, non perché quello a cui si dà la definizione sappia già le regole del giuoco, ma perché, in un altro senso, è già padrone di un giuoco. Continua a leggere…

“Goethe muore” (Thomas Bernhard)

goethe muore

“Mai il mondo mi è apparso più minaccioso e offensivo che da una vetta alpina. Mentre mio padre ripeteva più volte quanta quiete regnasse qui sulla vetta, una quiete maestosa, diceva lui, in fondo già non sopportava più la situazione tanta era l’irrequietezza, poiché là dove ci si attende la massima e assoluta quiete, là l’irrequietezza è più grande e assoluta che mai, e si affannava a ripetere che ora si trovava in uno stato di massima quiete, che tutti noi ci trovavamo in uno stato di massima quiete, diceva, e ci chiedeva se non sentissimo di trovarci in uno stato di massima e anzi effettivamente assoluta quiete, gli ho detto; di continuo sollecitava mia madre a dire e ad ammettere che ora ci trovavamo in uno stato di massima e assoluta quiete e anche la mamma lo diceva allora un paio di volte, che ci trovavamo in uno stato di massima e assoluta quiete, quanto silenzio, quanta quiete c’è qui, tutto è quiete, diceva, la massima quiete è qui. E siccome io non ero subito dello stesso parere dei genitori, ho detto, loro mi sollecitavano a dire che lassù in verità regnava la quiete assoluta e così, per porre fine alle loro intimidazioni, pure io dicevo che lassù in vetta regnava la massima quiete, l’assoluta quiete. Se non lo avessi detto, se avessi detto la verità, che cioè sulla montagna c’era la massima irrequietezza, avrebbero trovato il modo di ferirmi profondamente, ho detto. Così si accontentavano di sentirmi ripetere più volte le parole massima e assoluta quiete.”

(Thomas Bernhard, “Goethe muore”, ed. Adelphi)

Thomas Bernhard è tra i miei scrittori preferiti e “Goethe muore”, raccolta di quattro brevi racconti, potrei consigliarla a chi non lo avesse mai letto, se non fosse che, a mio avviso, Bernhard ha scritto di meglio e quindi tale consiglio potrebbe essere fuorviante. Ciò premesso, in questo libro sono condensati, in pillole, alcuni dei temi che caratterizzano le narrazioni di quest’autore che sa essere feroce, divertente, apocalittico Continua a leggere…

Il “mio” Wittgenstein

Witt

Quando si è a corto di argomenti, oltre a tacere (che sarebbe l’opzione preferibile, peraltro auspicata nel finale dell’opera che segue qui sotto), si può fare ricorso a qualcosa che si è scritto tempo addietro, con tutti i rischi che ciò comporta. Nello specifico, pubblico di seguito due pseudo-recensioni che scrissi prima di aprire questo blog e che, quindi, alla pari di grandi romanzi, non hanno trovato spazio “quassù”, se non all’interno della sezione “Letteratura”, che per ovvi motivi e comprensibili ha meno visite rispetto agli articoli quotidiani. L’argomento è Ludwig Wittgenstein, il mio Wittgenstein, quello che ho apprezzato da lettore appassionato, non da studioso o esperto. Aggiungo che rileggere i miei stessi articoli, a distanza di tempo, mi ha un po’ stranito, oltre che fatto dubitare (fortemente) di avere scritto cazzate. Comunque, tant’è, ecco il mio Wittgenstein.

TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS

“Questo libro, forse, lo comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi – o almeno, pensieri simili – . Esso non è, dunque, un manuale – . Conseguirebbe il suo fine se procurasse piacere ad almeno uno che lo legga comprendendolo.

Il libro tratta i problemi filosofici e mostra – credo – che la formulazione di questi problemi si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio. Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.

(Ludwig Wittgenstein, prefazione al “Tractatus logico – philosophicus”, ed. Einaudi)

Dovrei tacere e rimandare gli interessati alla lettura del libro, Continua a leggere…

“La lettera rubata” (Edgar Allan Poe)

The_Purloined_Letter

“- Se si tratta di un problema che ci richiede di riflettere, – osservò Dupin, astenendosi dall’accendere la lampada, – lo esamineremo meglio al buio.

– Ecco un’altra delle vostre strane idee, – disse il prefetto, che aveva l’abitudine di definire “strano” tutto ciò che non riusciva a comprendere, dovendo convivere pertanto con una miriade di “stranezze”.

– Giustissimo, – rispose Dupin mentre offriva all’ospite una pipa e gli avvicinava una comoda poltrona.

– E qual è il problema questa volta? – chiesi. – Niente che abbia a che fare con un delitto, spero?

– Oh, no, niente del genere. Il fatto è che la faccenda è davvero semplice e sono convinto che ce la caveremo benissimo da soli; senonché ho pensato che a Dupin avrebbe fatto piacere conoscere i particolari, dal momento che si tratta di un caso incredibilmente strano.

– Semplice e strano, – fece eco Dupin.

Be’, sì e no, non proprio insomma. La verità è che noi tutti siamo molto perplessi perché la faccenda è così semplice e, nonostante ciò, non riusciamo a venirne a capo.

– Forse è proprio la troppa semplicità che vi mette fuori strada, Continua a leggere…

Vedere

Duck-Rabbit_illusionE devo distinguere tra ‘l’essere continuamente in vista’ di un aspetto e il suo ‘apparire improvvisamente’.
(Ludwig Wittgenstein, “Ricerche filosofiche“, parte seconda, cap. XI, ed. Piccola Biblioteca Einaudi)

“Della certezza. L’analisi filosofica del senso comune” (Ludwig Wittgenstein)

Della certezza

“Il bambino impara a credere a un sacco di cose. Cioè, impara, per esempio, ad agire secondo questa credenza. Poco alla volta, con quello che crede si costruisce un sistema e in questo sistema alcune cose sono ferme e incrollabili, altre sono più o meno mobili. Quello che è stabile, non è stabile perché sia in sé chiaro o di per sé evidente, ma perché è mantenuto tale da ciò che gli sta intorno”

(Ludwig Wittgenstein, “Della certezza”, 144)

“Della certezza” è un volume che raccoglie riflessioni che Wittgenstein sviluppò negli ultimi due anni della sua esistenza, purtroppo non avendo modo di rielaborarli, che vertono attorno al tema del cosiddetto “senso comune” e le conseguenti “certezze” che da esso facciamo derivare. Nella prefazione Aldo Gargani spiega, in maniera accurata, cosa dobbiamo intendere per “senso comune”, cioè non presunte cognizioni connaturate all’uomo, ma una sorta di “sapere degradato”, reso tale dalle successive riflessioni e scoperte di carattere scientifico. La scienza, d’altro canto, con le sue successive approssimazioni volte a correggere antiche credenze, è un linguaggio sublimato del senso comune. Wittgenstein, Continua a leggere…

“Ludwig Wittgenstein. Conversazioni e ricordi”

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“Ludwig Wittgenstein. Conversioni e ricordi” (ed. Neri Pozza) è un testo pubblicato per la prima volta nel 1984 presso l’Università di Oxford, a cura di Rush Rees e contenente testimonianze dirette di persone che ebbero l’opportunità di conoscere il filosofo autore di opere come il “Tractatus logico-philosophicus” e le “Ricerche filosofiche”. Per me, che ho avuto modo di leggere quelle opere e di scervellarmi nel tentativo di comprenderle, si è trattato di un libro molto emozionante, soprattutto perché sono mostrati aspetti dell’esistenza di Wittgenstein non prettamente legati alla sua produzione. Va subito detto, infatti, che non si tratta d’interpretazioni del suo pensiero filosofico, per quanto inevitabile sia il riferimento allo stesso, bensì di memorie attinenti la sua esistenza quotidiana, le sue relazioni interpersonali, i suoi dubbi, le sue paure, così com’erano scolpite nella mente di coloro che hanno passato giorni accanto al filosofo, spesso consapevoli dell’impossibilità di rapportarsi a un cervello come il suo.

Ne viene fuori un ritratto complesso, di un uomo conscio della propria intelligenza, che non amava gloriarsi della stessa eppure esigente, schietto, elusivo, intransigente, che feriva il prossimo in maniera quasi inconsapevole, incapace di mentire, irascibile, iper-sensibile. Ciò che mi ha colpito di questi ricordi è che non si tratta della solita apologia postuma riguardante un autore o un amico, ma di memorie con sfumature diverse che sottolineano la grandezza del pensatore e dell’uomo senza tuttavia scansare le ruvidezze di un carattere con il quale non era facile relazionarsi. Continua a leggere…

Wittgenstein e l’incanto “intollerabile”.

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Sto leggendo “Wittgenstein. Conversazioni e ricordi” (editore Neri Pozza). Appena lo avrò terminato scriverò qualcosa su questo libro che mi sta interessando molto, per ora riporto un brano di Fania Pascal, che ebbe modo di conoscere Wittgenstein quando quest’ultimo si recò da lei, assieme a un amico, per apprendere il russo.

“Spesso è stato descritto l’aspetto di Wittgenstein: piccolo di statura ma con una profonda energia interiore; ben proporzionato; sguardo acuto, da un uccello in volo. Non l’ho mai visto con un colletto chiuso o con una cravatta. Trovava difficile rimanere seduto o immobile, sembrava sempre sul punto di scappar via da un momento all’altro. La sua espressione, per quanto innocente, aveva qualcosa di serio e intransigente, verso gli altri ma anche verso sé stesso. Poteva dare l’impressione di avercela con tutti. ˂˂Orgoglio diabolico˃˃, lo definivo io, esagerando come sempre. Sembrava assente, tranne quando si rilassava, era assorbito nello studio o raccontava ridacchiando una barzelletta infantile. Quando cominciava a parlare era incantevole, avvincente, ma non credo fosse consapevole di questo dono. L’uomo che sarebbe in seguito divenuto famoso per la dichiarazione: ˂˂La filosofia è una battaglia contro l’incantamento della nostra intelligenza per mezzo del linguaggio˃˃ non si rendeva conto che lui stesso lanciava un incantesimo ogni volta che diceva qualcosa, qualunque fosse. Per contro era un uomo semplice, ammirevolmente disinvolto. Poteva essere estremamente irritante, ma non poteva farci nulla, la sua vita era resa difficile da un’eccessiva sensibilità che interessava tutti i suoi sensi. Rispetto a una persona normale era infastidito da un numero molto maggiore di cose. Pur essendo anch’io incline all’irritazione – anche se forse a quei tempi non quanto oggi – non riesco a immaginare una persona irascibile quanto Wittgenstein. La sua espressione più frequente era l’esclamazione ˂˂intollerabile, intollerabile˃˃, che pronunciava senza la vocale iniziale: ˂˂‘ntollerabile, ‘ntollerabile˃˃, piegando all’indietro la testa e volgendo la testa al cielo. In quei momenti – ma si può dire altrettanto di qualsiasi cosa dicesse – era impossibile dubitare della sua sincerità. Parlavamo sempre in inglese, così come in inglese erano i suoi interventi al Moral Science Club e, per quanto ne so, tutte le sue lezioni. Parlava un inglese idiomatico, immaginifico ed espressivo; una volta iniziato, il discorso fluiva liberamente, ed era un piacere ascoltarlo”.

(Fania Pascal, da “Conversazioni e ricordi”, Neri Pozza editore)

“Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein” (di Giuseppe Di Giacomo)

Dall logica all'estetica

“Nella Prefazione alle Ricerche filosofiche Wittgenstein afferma di aver trascritto sotto forma di osservazioni, di brevi paragrafi, quei pensieri che lo hanno tenuto occupato negli ultimi sedici anni. Si tratta di ricerche filosofiche sul concetto di significato, di comprendere, di proposizione, di logica e di altre cose ancora: “In principio era mia intenzione raccogliere tutte queste cose in un libro […] ma non appena tentavo di costringere i miei pensieri in una direzione facendo violenza alla loro naturale inclinazione, subito questi si deformavano. – E ciò dipendeva senza dubbio dalla natura della stessa ricerca, che ci costringe a percorrere una vasta regione di pensiero in lungo e in largo in tutte le direzioni. – Le osservazioni filosofiche contenute in questo libro sono, per così dire, una raccolta di schizzi paesistici, nati da queste lunghe e complicate scorribande […] Così questo libro è davvero soltanto un album”.

Se il Tractatus si presentava come un libro ˂˂sistematico˃˃ – la sua struttura, infatti, è costituita da proposizioni che vanno da 1 a 7, con varie proposizioni subordinate – le Ricerche filosofiche hanno la forma di un ˂˂album˃˃, che raccoglie ˂˂schizzi paesistici˃˃. È questo un segno della ˂˂contrapposizione˃˃ fra due ˂˂modi di pensare˃˃, della quale Wittgenstein parla in questa stessa Prefazione. In questo senso si è parlato della contrapposizione tra due Wittgenstein: Continua a leggere…

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