Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

“Un mondo perduto e ritrovato” (Aleksandr Lurija)

lurjia

“Più a lungo la mia mente rimugina cercando nella memoria le parole necessarie per esprimere questo pensiero, più diventa difficile ricordare le parole adatte. Ma qualcosa devo pur ricordare, almeno parole approssimative, generiche, non esatte, almeno quelle. Le raccolgo, queste parole ausiliarie per il mio pensiero. Però non mi metto a scrivere subito, perché devo comporre la frase. E comincio a comporla, giro e rigiro le parole più volte, per far sì che la frase somigli a quelle che ho sentito o letto nei libri veri, corretti.

Ma che fatica scrivere! Mi viene in mente l’idea di descrivere qualcosa tratto da ciò che ricordo del ferimento, della successiva malattia, i primi tormenti. Ho preso al volo un bel pensiero! Comincio a cercare una parola per questo pensiero, poi un’altra… ma la terza parola per esprimere questo pensiero non mi viene, non la ricordo… la cerco, cerco… Alt! L’ho trovata! L’ho trovata! Ma qual era il mio pensiero?… L’ho dimenticato… E dove sono le due parole che avevo trovato con tanta fatica? Non ricordo nemmeno quelle. Torno a frugare nella memoria, di nuovo cerco il pensiero per scriverlo, cerco le parole adatte per questo o quell’altro pensiero, le annoto su fogli e foglietti, prima di inserirle nel testo che devo scrivere, unendole al pensiero sviluppato dalla mia mente disturbata dalla ferita. Ma com’è doloroso tutto questo… Dimenticare continuamente cosa stai scrivendo, cosa stai pensando, dove ti trovi, non ricordarlo, non saperlo per lunghi minuti…”

(Aleksandr Lurija, “Un mondo perduto e ritrovato”, estratto da una pagina del diario di Lev A. Zaseckij, ed. Adelphi)

Nel 1943, lungo il fronte occidentale russo, il ventitreenne soldato Lev A. Zaseckij, già studente d’ingegneria meccanica, è colpito in testa da un pallottola sparata da un tedesco, che non sarà mai estratta dal suo cervello, a causa dei rischi che ciò avrebbe comportato per la sua esistenza, che da quel momento resta indelebilmente segnata. Zaseckij perde la memoria, regredendo, di fatto, a uno stato infantile per quanto concerne il suo sapere e anche i suoi ricordi personali.

“Un mondo perduto e ritrovato” è un libro che narra la vicenda di Zaseckij, attraverso una selezione delle pagine del suo sterminato diario, scritto per circa venticinque anni e composto di tremila pagine, e tramite gli interventi di raccordo di Aleksandr Lurija, che seguì il paziente lungo tutto il suo drammatico percorso di riabilitazione. La storia, come si sarà intuito, è tragica, perché pagina dopo pagina Lurija ci guida nella mente di un uomo che ha perduto tutto il proprio mondo ed essendone consapevole, lotta disperatamente per riappropriarsi della propria vita. Zaseckij, infatti, oltre a una lesione perenne alla vista, non è in grado di cogliere la realtà che lo circonda in modo sistematico. Per lui tutto si è ridotto a frammenti e lo sforzo principale è quello di riacquisite la capacità di utilizzare un linguaggio. Egli non solo non ricorda gli eventi, le persone, le situazioni, ma, proprio come un bambino, pur avvertendo di conoscere una determinata parola, non sa quale uso debba farne e non può, di conseguenza, seguire ciò che dicono gli altri né formulare un proprio pensiero che non sia frammentato.

La scrittura, nel percorso terapeutico, acquisisce un valore decisivo. Sono le sue stesse parole a spiegarci perché, grazie al pur penoso sforzo di mettere su carta la propria storia clinica, egli possa tenersi aggrappato all’esistenza. Lurija, dal canto suo, inserisce le sue considerazioni su Zaseckij, ma anche qualche breve ma significativo passaggio che ci aiuta meglio a comprendere il danno fisico subito dall’ex soldato.

Il libro, che di per sé ha la valenza tragica cui ho accennato, è anche un’occasione per riflettere su quanto e come tante cose che diamo per scontate nel nostro quotidiano, non sia così scontate. Resta, però, soprattutto una descrizione in prima persona del travaglio, ma anche della ferrea volontà di aggrapparsi all’esistenza, di un uomo che ha perduto il suo mondo e lotta, tra scoramenti e speranze alterne, per ritrovarlo.

“È il racconto di un attimo che aveva distrutto una vita intera.

È il racconto di come una pallottola, trapassando il cranio e conficcandosi nel cervello, aveva frantumato il mondo di un uomo in mille pezzi che lui non riusciva a ricongiungere.

È il libro su un uomo che ha profuso tutte le sue forze per far tornare il proprio passato e conquistare il proprio futuro.

È il libro su una lotta che non ha portato alla vittoria, e su una vittoria che non ha messo fine alla lotta.

Chi scrive queste righe non è propriamente l’autore del libro. L’autore ne è il suo protagonista.

Davanti a me ho una pila di quaderni. Quaderni ingialliti, fogli messi insieme alla meglio, del tempo di guerra. Altri quaderni spessi, con la copertina cerata, risalenti agli anni successivi, quelli della vita in tempo di pace.

In tutto, quasi tremila pagine.

Per scriverle il protagonista del libro ha lavorato quarto di secolo, giorno dopo giorno, ora dopo ora, cercando di scrivere la storia della propria vita, le conseguenza della propria terribile ferita.

Egli ha ricomposto i propri ricordi riunendo le piccole schegge che baluginavano disordinatamente, cercando di disporle in un ordine consequenziale. Ha compiuto sforzi tormentosi richiamando alla memoria ogni parola, componendo ogni frase, tentando febbrilmente di afferrare e trattenere il pensiero.

A volte, nelle giornate fortunate, riusciva a scrivere una pagina, al massimo due, dopodiché si sentiva totalmente esausto.

Scriveva perché quello era il suo unico legame con la vita, l’unico modo per non soccombere alla propria infermità e non affondare, l’unica speranza di recuperare qualcosa di ciò che aveva perduto. Scriveva con una maestria da far invidia a qualunque psicologo. Lottava per la vita.

È un libro tragico.”

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2 pensieri su ““Un mondo perduto e ritrovato” (Aleksandr Lurija)

  1. cronologiadassenza in ha detto:

    Non sapevo che fosse stato ristampato. È abbastanza di nicchia dato che Lurjia non è uno scrittore. Tragico? È esaltante! Scoprire il senso di una macchina cervello che non rinuncia all atto della volontà. Campana diceva – Ogni fenomeno è per se sereno. La fisiologia è serena. Tragico è l’uomo che guarda (secondo me!!)

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