Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

“Qui pro quo” (Gesualdo Bufalino)

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“Quanto a me, non era la sorpresa a prevalermi nell’animo, di fronte a questa seconda e presumibilmente definitiva verità. Era piuttosto una sorta di personale rancore e di delusione nei confronti del defunto, alla cui innamorante immagine s’era venuto sostituendo nelle ultime ore un simulacro di tristo burattinaio, inteso a prendersi giuoco di tutti, ma, mi pareva, in particolare di me. Veridiche o menzognere che fossero queste sua aggiuntive elucubrazioni, me ne veniva un sentimento di maldimare nel ritrovarmi ancora una volta zimbello, con tutti i fili nelle sue mani…”

(Gesualdo Bufalino, “Quo pro quo”, ed. Bompiani)

Di Gesualdo Bufalino avevo letto, finora, solo “Diceria dell’untore” e “Argo il cieco”, diversi tra loro ma entrambi apprezzati e che consiglio con l’occasione. “Qui pro quo” si differenzia ancora dagli altri e lo fa rielaborando il “giallo”, anzi scardinando alcuni elementi classici del genere.

Medardo Aquila è un editore, per l’appunto di libri “gialli”, e si trova a trascorrere le vacanze con sua moglie e diversi ospiti, tra i quali il cognato e socio Ghigo, l’avvocato Belmondo e sua moglie Matilde, la direttrice editoriale Lidia, uno scultore, un pittore e altra variegata fauna umana. Tra tutti, personaggio eminente, nonché narratrice della storia che vede vittima Medardo, c’è Ester Scamporrino alias Agatha Sotheby, segretaria dell’editore, la quale ha scritto un libro che s’intitola, guarda un po’, “Qui pro quo”.

Il romanzo fu definito, da Sciascia, una sorta di “pirandellismo introvertito”, perché non c’è una Verità che si mostra con evidenza, bensì tante maschere che i personaggi indossano con coscienza o anche solo perché agli occhi altrui appaiono sotto diversi aspetti. Medardo stesso, la vittima, potrebbe essere anche l’assassino di sé stesso, avendo architettato un piano diabolico per far ricadere la colpa su qualcun altro. La narratrice/segretaria indaga, assieme al commissario Currò e con la presenza ingombrane di alcune lettere che Medardo ha lasciato per aiutare a risolvere il caso, avendo avuto premonizione della propria fine imminente, oppure per ingarbugliare il tutto, nel caso abbia fatto tutto da sé.

Sulla trama in senso stretto è bene fermarsi qui per non rovinare la lettura, ma si può aggiungere che Bufalino è abilissimo nel creare un gioco di specchi e soprattutto nella forma lessicale, elegante e a tratti aulica, con la quale ci narra le vicende di un mondo in cui non ci sono conclusioni certe, ma solo possibilità.

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