Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

“Lo sguardo altrove” (per “Paesaggi sconosciuti”, mostra pittorica di Angelo Zuena)

Angelo 3

Dal prossimo 8 dicembre, fino al 6 gennaio 2015, a Itri (Lt), si terrà la mostra pittorica “Paesaggi sconosciuti”, nella quale saranno esposte alcune opere di Angelo Zuena.

Ho avuto l’onore e l’onere di scrivere qualcosa per il catalogo che esce in concomitanza con la mostra. Pubblico lo scritto anche qui sul blog, aggiungendo le parti che alla fine sono state risparmiate ai lettori del catalogo d’arte (le parti tagliate sono riconoscibili perché in corsivo e tra parentesi).

Aggiungo alcune foto dei quadri di Angelo Zuena e invito tutti gli interessati. Le date sono quelle indicate sopra; per gli orari, lo spazio d’esposizione sarà aperto al pubblico tutti i giorni, all’incirca tra le 17.00 e le 20.00.

LO SGUARDO ALTROVE

Da un po’ di tempo Angelo Zuena, per me, non è più “solo” un artista che vive nel mio stesso paese, ma anche un compagno di chiacchierate. Ho potuto conoscerlo, quindi, ma non abbastanza a fondo da comprendere cosa c’è dietro le sue opere, quali sono le ragioni ultime che lo spingono, da decenni, a dipingere. A pensarci bene, non credo nemmeno di averglielo mai chiesto, forse perché dubito che sia possibile, persino per lui, comprendere in pieno certe motivazioni.

Non ero mai stato nel suo studio ed entrandovi fui colpito dallo schieramento di colori, che per me erano solo oggetti dalle tinte differenti; per lui, invece, erano e sono materiale destinato alla metamorfosi, a vivificarsi fino allo sgorgare definitivo dell’opera che, sottolineò quel giorno, non è mai solo frutto di un’ispirazione momentanea, (di una visione improvvisa), bensì di un lavoro certosino, graduale, faticoso. Gli chiesi quanto tempo richiedesse l’esecuzione di un quadro e mi pentii all’istante di quella stupida domanda. Sapevo già, prima ancora che lui mi rispondesse, che l’elaborazione tecnica può essere più o meno complessa, ma fondamentale è il lungo percorso mentale che sfocia nei dipinti.

Scrutavo con curiosità e ammirazione i quadri da esporre, Angelo parlava, prendevo nota nella mia testa, elaboravo le sue parole e le mescolavo al mio pensiero; la mente umana, allora, mi parve il luogo ignoto per eccellenza, il fulcro attorno al quale ruotano tutti gli altri scenari, compresi quelli pittorici e letterari. La geografia di questi territori immaginari, di queste lande meravigliose o terrificanti, è imprecisa, avvolta nell’oblio tipico dei sogni. Situati in un immaginario altrove, pur non essendo un’impossibile evasione totale, rappresentano uno scostamento, un cambio di prospettiva, i cui tragitti sfumano, mutano, si mescolano, disegnando labirinti che destabilizzano.

(L’ignoto, tuttavia, non è solo ciò che avvertiamo come esterno, ma si manifesta anche nelle vesti di paure fondate sull’ambigua conoscenza del mondo interiore. Certi pensieri ci spaventano proprio perché sappiamo di esserne la causa, ma bisogna affrontare quelle zone d’ombra, non accantonarle quasi non esistessero, bensì frequentarle quel tanto che impedisca loro di crescere nel silenzio e, se possibile, sublimarle. Solo il nostro sguardo può permettere a qualche luce di filtrare tra le fronde degli alberi che rendono buio il paesaggio interiore.

Siamo su un balcone, a pochi centimetri dalla ringhiera, non abbiamo paura di cadere. Se, però, vediamo che la ringhiera non c’è, ci sembrerà molto più difficile restare a pochi centimetri dall’orlo, con il baratro dinanzi a noi. Ma se avessimo gli occhi chiusi, guidati da una voce amica che ci dice quando fermarci per non toccare la ringhiera, sapendo che la ringhiera c’è, anche se in realtà l’hanno tolta a nostra insaputa, proveremmo forse paura? E dunque, abbiamo più paura dell’ignoto o del già noto? Oppure non sono due aspetti scissi?)

Qualcuno però, ogni tanto, scopre una chiave che consente di districarsi in questi angusti territori. I più temerari, abili o semplicemente i più fortunati, si rintanano nel territorio sconosciuto per eccellenza, quello che non andrebbe nominato, ma solo vissuto, e che per comodità chiamiamo Amore. Cos’altro è, l’Amore, se non una (inesorabile, dolente, esaltante) discesa in un luogo che sappiamo di non conoscere e che pure, per una ragione che ci sfugge e che cerchiamo invano di comprendere, ci attrae? Vogliamo far parte di un mondo ignoto che l’Altro si porta dentro, e vorremmo anche che il nostro fosse conosciuto dall’Altro;  quando accade che i due mondi si mescolano, ecco sgorgare un panorama diverso, un nuovo modo di vedere le cose.

Più in generale, non è l’Altro un abisso insondabile, nel quale pure cerchiamo di riconoscere ciò che è già nostro e di scoprire ciò che invece ignoriamo? Anche il patto inconscio che sottoscrivono l’artista, la sua opera e i fruitori può raggiungere un certo grado d’intimità, ma non sfugge all’impossibilità di colmare quella lacuna che ci separa dall’Altro. Siamo così sicuri che l’artista, con quel dettaglio, abbia voluto descrivere (evocare) proprio quella sensazione che ci pervade leggendo un libro, ascoltando una canzone, guardando un film, osservando un quadro? Sarebbe assurdo pretendere quest’identità, sappiamo bene quanto di nostro immettiamo nell’opera; d’altra parte, lo stesso artista (Chi è artista? Quando lo si diventa? In una parentesi è bene non sfiorare nemmeno tali domande), una volta licenziata l’opera, sa bene che essa non è più solo sua, ma che l’interpretazione dello spettatore la sposta altrove.

Eppure, talvolta, toccate certe nostre corde interiori, percepiamo che quel distacco tra noi e l’Altro, nello specifico tra noi e l’artista, non è più così abissale, (e ci sentiamo affiancati a lui nell’osservare uno scorcio di mondo). Quando poi si ha la fortuna di conoscere personalmente un autore, allora si può osare e presumere, può darsi a torto ma anche no, di cogliere anche nelle opere alcuni tratti caratteriali che abbiamo avuto modo di intuire nel corso di chiacchierate lungo le strade del paese. Ho sentito, guardando le opere di Angelo, le agrodolci note della malinconia e della solitudine.

Una sera mi chiese cosa fosse per me l’arte, (io non ricordo con esattezza cosa risposi, forse) elusi la domanda, perché, anche se dentro di me sentivo di avere una risposta, sapevo che non poteva essere né esaustiva né appagante. Si trattava di uno di quegli interrogativi ai quali mi è sempre parso estremamente difficile rispondere, (e che studiosi di diversa formazione sviscerano da secoli, con efficacia talvolta sublime ma mai definitiva). Un territorio labile sotto i nostri piedi, che s’intreccia con quello dove alloggia la Bellezza, altra parola sfuggente, altro labirinto nel quale tentiamo di orientarci e che ci lascia smarriti (di fronte all’impossibilità di trovare parole adeguate a comunicare in pieno ciò che sentiamo quando, per l’appunto, ci sorprendiamo ammaliati dalla Bellezza). Perché anche la Bellezza è un paesaggio sconosciuto, nel quale c’inoltriamo con la paura che non mantenga la sua promessa di felicità. E poi, a quale Bellezza aspiriamo, a quella dell’uomo, della natura, a quella fisica o spirituale, e su quali arbitrari criteri distinguiamo queste presunte diverse manifestazioni del Bello? Inoltre, non è forse il caso di prendere atto che nel paesaggio della Bellezza è insito anche il Brutto, che le cose non sono così scindibili? Il terreno si fa sempre più paludoso e rischiamo di restarne avvinghiati, e allora, a un certo punto, è bene fermarsi, respirare, scrutare quest’orizzonte indistinto senza pretendere di scoprirne i segreti più nascosti, perché comunque, dovremmo averlo capito, nessuno potrà mai svelarcene la totalità.

A questo punto, voltandomi indietro, mi accorgo che la pagina bianca non è più tale, si è trasformata anch’essa in un paesaggio sconosciuto. Inquieto, prima di uscire da questo suolo fluttuante, potrei agganciarmi a qualcosa. Per esempio, potrei chiedere ad Angelo che cos’è per lui l’arte oggi, confrontare la sua opinione con la mia, ma sono quasi certo che non lo farò, o almeno lo farò fuori dal paesaggio nel quale sto scrivendo, perché so che si tratterebbe di esprimere un’opinione azzardata, di cristallizzarla in una forma scritta destinata a sciogliersi il giorno seguente. In quanto ad Angelo Zuena, la risposta alla domanda che non gli farò l’ha già data in tutti questi anni. Non c’è niente da dire, tutto è nelle sue opere, (nei suoi paesaggi sconosciuti.)

Angelo 1

Angelo 4

Angelo 2

Navigazione ad articolo singolo

2 pensieri su ““Lo sguardo altrove” (per “Paesaggi sconosciuti”, mostra pittorica di Angelo Zuena)

  1. Le tue parole coinvolgono e mettono in luce un possibile ruolo dell’arte per chi la osserva: trovare traduzione ad enigmi interiori. L’artista a volte è questo che fa. L’idea di bellezza artistica ne è una prova.

    • Grazie, mi fa piacere averti trasmesso ciò, anche perché non è stato facile per me scrivere questo pezzo, temevo di dire troppo o troppo poco (e in effetti è così). 🙂

Lascia un commento