Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

La speculazione edilizia

“Uscirono insieme, Quinto e Ampelio. Camminavano in fretta, discutendo, per le note vie, come non succedeva loro da anni, e pareva loro d’esserci sempre rimasti, d’essere due fratelli del luogo molto indaffarati, inseriti nella vita economica della città, con tutta una rete d’interessi che faceva capo a loro, gente pratica, brusca, che bada al sodo. Stavano recitando e lo sapevano: erano tutt’altre persone da quelle che pareva loro d’essere in quel momento; prima di sera sarebbero ripiombati in una scettica abulia e sarebbero ripartiti, a rinchiudersi l’uno nel laboratorio l’altro nelle polemiche degli intellettuali, come le uniche cose al mondo che contassero. Eppure in quel momento sembrava loro possibile anche essere così, e che sarebbe stato molto bello, sarebbero stati due fratelli uniti e solidali, e tante cose difficili sarebbero state facili, e avrebbero fatto grandi cose, non sapevano bene quali. Per esempio, adesso andavano a cercare Caisotti per porgli il problema, per tastare il terreno, per fare un sondaggio, per chiedergli non sapevano ancora bene cosa, insomma: non c’era da fare le cose tanto complicate, adesso sentivano un po’ Caisotti poi avrebbero deciso sul dà farsi”.

(Italo Calvino, “La speculazione edilizia”)

Italo Calvino, in una dichiarazione del 1961, affermava che “La speculazione edilizia” era tra le storie in cui sentiva di aver detto cose più cose e anche quella che più si avvicinava a un romanzo, sia pure breve. La prima edizione risale al 1957 e fu pubblicata con numerosi tagli perché diversi personaggi descritti nella vicenda erano molto riconoscibili, specie dai compaesani di Calvino. Nel 1963 fu riedita nella sua versione completa. “La speculazione edilizia” è la storia di un fallimento individuale all’interno di una decadenza collettiva, più etica che economica, ed è ambientata a metà degli anni ’50. Il protagonista è Quinto Anfossi, un intellettuale, già comunista, che vive in città e che tornato a XXX, paese della Riviera ligure, si getta in una speculazione edilizia, spinto dalle circostanze e da un ambiguo bisogno di praticità che sente crescere in sé, abituato com’è a discorsi con filosofi e poeti su quale debba essere il nome della prossima rivista.

Alla morte del padre, la situazione economica in cui versa lo porta ad accettare la proposta di acquisto che gli fa un certo Caisotti, maneggione, dalla fama dubbia, ma in apparenza solvibile e quindi in grado di aiutarlo a uscire dalla difficoltà. Assieme al fratello Ampelio, Quinto non solo riesce a convivere la madre della necessità di vendere un pezzo del loro terreno, sul quale il Caisotti potrà poi edificare appartamenti da vendere o affittare, ma addirittura si convince che bisogna allearsi con lo spregiudicato affarista. Calvino, con la sua prosa elegante ed efficace, ci mostra le trappole nelle quali Quinto va a finire, lui che, a differenza di altri ben più abili nel districarsi, è nuovo a certi raggiri. Gli altri personaggi che intervengono nella vicenda sono tutti, a diverso titolo, ben consci di come funzionino certe dinamiche, nei loro ruoli di avvocato, notaio, ingegnere, intermediario. Anche il loro giudizio negativo su Caisotti, alla lunga si rivela essere non una manifestazione di onestà, quanto, piuttosto, il tentativo di difendere lo status quo contro l’intrusione di uno straniero, qual è il Caisotti, ex-muratore arrivato da poco in paese a fare affari e concorrenza a chi, già di suo, era avvezzo a un certo malaffare. Quinto, inoltre, in paese incontra molti suoi ex-compagni di partito e ha modo di riflettere su come il tempo abbia reso vane le antiche speranze e portato lui e altri a compromessi che un tempo ritenevano inconcepibili.

“Di solito mi piace raccontare storie di gente che riesce in quel che vuole fare (e di solito i miei eroi vogliono cose paradossali, scommesse con se stessi, eroismi segreti) non storie di fallimenti o di smarrimenti. Se nella ‘Speculazione edilizia’ ho raccontato la storia di un fallimento (un intellettuale che si costringe a fare l’affarista, contro tutte le sue più spontanee inclinazioni) l’ho raccontata (legandola molto a un’epoca ben precisa, all’Italia degli ultimi anni) per rendere il senso di un’epoca di bassa marea morale. Il protagonista non trova altro modo di sfogare la sua opposizione ai tempi che una rabbiosa mimesi dello spirito dei tempi stessi, e il suo tentativo non può che essere sfortunato, perché in questo gioco sono sempre i peggiori che vincono, e fallire è proprio quello che lui in fondo desidera”.
(Italo Calvino)

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