“Verso la libertà” (Arthur Schnitzler)
“Poi ricordò un’altra cosa, forse più significativa: ricordò una strana domanda che Anna gli rivolse quando una volta, in sua compagnia, aveva fatto molto tardi, ed era stata costretta a inventare una scusa per i suoi genitori. Gli chiese se non temeva di doversi pentire, un giorno, per aver fatto di lei una bugiarda. Frase che suonava metà come un rimprovero, metà come un avvertimento. Se lei stessa sembrava così poco sicura di sé, come poteva fidarsi ciecamente? Lui l’amava, questo era certo, eppure non la tradiva, forse? O meglio, era pronto a farlo in ogni momento, che in fondo era la stessa cosa. Un’ora prima, in carrozza, mentre la teneva tra le braccia e la baciava, Anna non supponeva certo che potesse pensare ad altri che a lei. Eppure, mentre le sue labbra si posavano sulle labbra di Anna, lui aveva desiderato Sissy. Non poteva dunque accadere che lo tradisse lei? Non poteva forse essere già perfino successo? … senza che se ne avvedesse? … Ma questi pensieri in fondo non avevano corpo, gli passavano per la mente come fantastiche e quasi divertenti supposizioni.”
(Arthur Schnitzler, “Verso la libertà”, ed. SE)
“Verso la libertà”, pubblicato nel 1908, mi ha messo di fronte a uno Schnitzler anomalo nella vastità della narrazione, ma non meno efficace nello sviscerare sia i labirinti del singolo sia quelli della società viennese di fine Ottocento – inizio Novecento. Sarebbe riduttivo, però, relegare l’opera solo alla rappresentazione di un’epoca, perché i temi trattati nei suoi libri, che sia la morte, l’amore, la solitudine, il sogno o quant’altro, rendono i suoi scritti resistenti all’usura del tempo.
Prescindendo dalla condizione di aristocratico viennese, Georg von Wergenthin, protagonista principale del romanzo, assurge a emblema più universale dell’individuo che si lascia ammaliare da un concetto di libertà personale che appare più un velo miserabile con il quale coprire il vuoto interiore, Continua a leggere…