Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

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“Uccellacci e uccellini” (Pier Paolo Pasolini)

“Uccellacci e uccellini” è un film del 1966 (o 1965, ho trovato fonti discordanti) e già questo dovrebbe farci comprendere che volerlo interpretare oggi, a distanza di quarantasei anni, è un’impresa ardua soprattutto per chi non ha vissuto quegli anni e quindi non può cogliere con immediatezza i riferimenti più o meno espliciti del film che, come direbbero i critici di professione, si presta a diverse “chiavi di lettura”, ad alcune delle quali farò cenno, senza pretese di fornire spiegazioni definitive e soprattutto senza svelare troppo la trama.

La domanda che apre il film è “dove va l’umanità?”, quesito che ciascun essere umano dotato di un minimo di autocritica è portato a farsi, quanto meno nella forma più individualistica, “dove vado io?”. La risposta è fornita subito, ed è: “Boh!”.

Totò e Ninetto Davoli, splendidi coprotagonisti del film, nella parte di un padre e un figlio, sembrano non porsi tante domande e attraversano il viaggio della vita inconsapevoli, tenendosi il più lontano possibile dalle domande di cui sopra. Rappresentano (parole di Pasolini) “gli italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia”.

In un’intervista Pasolini risponde all’interlocutore che gli aveva chiesto perché avesse scelto proprio Totò per questo film, dicendo che in lui vedeva due caratteristiche tipiche delle favole, l’assurdità e l’immensamente umano.

Scrive, inoltre, Pasolini: “Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos’altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è: e quindi ho scelto Totò per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò. E nello stesso tempo volevo che questo essere umano così medio, così “brava persona”, avesse anche qualcosa di assurdo, di surreale, cioè di clownesco, e mi sembra che Totò sintetizzi felicemente questi elementi.Continua a leggere…

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Pier Paolo Pasolini raccontato ai ragazzi (Fulvio Abbate)

 

“Improvvisamente, come nel singhiozzo, c’è da ripensare a un film con Totò, intitolato Uccellacci e Uccellini. I manifesti, sempre a quel tempo, venivano realizzati da valentissimi illustratori di cartelloni, bravi soprattutto nelle espressioni degli occhi, nel marcare le sopracciglia, gli stati d’animo; quello del film in questione mostrava le teste dei protagonisti rispettivamente montare su due volatili, il gusto popolare della caricatura. Non lo sapevo ancora, ma la regia era di Pier Paolo Pasolini. Un uomo pubblico, uno scrittore, uno che andava talvolta a mostrarsi in televisione, un signore che allora puntualmente scambiavo per Gino Paoli, solo in seguito ne ho capito la ragione: gli occhiali da sole che inforcavano entrambi, la stessa montatura, forse una forma di medesima ritrosia apparentemente ombrosa. Il suo nome era appunto Pasolini, e parlava, diceva cose per grandi, “cose difficili”.

(Fulvio Abbate, “Pier Paolo Pasolini raccontato ai ragazzi”, Dalai editore)

Un paio di anni fa, cercando su “Youtube” filmati relativi ad Albert Camus, m’imbattei in un video molto particolare, che mi colpì per la sua originalità. In occasione dei 50 anni dalla morte del grande pensatore franco-algerino, un signore girava in macchina per Roma, commentando “L’uomo in rivolta”, libro che tuttora considero essenziale per me.

Quel signore si chiamava, anzi si chiama, visto che è vivo e vegeto, Fulvio Abbate. Prima di allora non avevo mai sentito parlare di lui e soprattutto non lo avevo mai visto esprimersi su Teledurruti, la televisione monolocale da lui creata e che da quel giorno è diventata per me un appuntamento quasi quotidiano. Non avevo neanche letto i suoi libri, ovviamente, e ammetto (facendo mea culpa) che solo adesso ho cominciato a leggerli. Per inciso, qualcuno, tempo fa, mi fece notare che io leggo soprattutto libri di autori già morti, il che in parte è vero. Io stesso, guardando la lista dei libri dei quali ho parlato qui sul blog, posso costatare come siano pochi gli autori contemporanei, ma su questo avrò magari modo di interrogarmi in separata sede, torno ad Abbate nella sua veste di scrittore, e più in particolare al libro che ho appena letto, cioè “Pier Paolo Pasolini raccontato ai ragazzi”, edito da Dalai Editore.

Conoscendo Abbate, quanto meno grazie alle sue apparizioni sui social network, ero certo che non si trattasse di un’opera noiosa, né tanto meno di una biografia didascalica o di una mera cronologia della vasta produzione di Pasolini. Su Pasolini sono stati scritti saggi, girati documentari, chi vuole può documentarsi abbastanza agevolmente sulla sua figura d’intellettuale, o ancora meglio può leggersi i suoi testi, guardarsi i suoi film e formarsi un proprio “giudizio”, così come ho fatto io in passato. Dal libro di Abbate non mi aspettavo rivelazioni, scoop, oppure analisi filologiche volte a stabilire se è nato prima l’uovo o la gallina, quanto piuttosto un viaggio a ritroso alla riscoperta d’immagini, ricordi, frammenti che legano l’autore alla memoria di Pasolini e non solo. Leggendo, ho avuto conferma delle mie previsioni. Abbate scrive che il suo è una sorta di documentario, a me piace anche definirlo un grande atto d’amore Continua a leggere…

Lettere luterane (Pier Paolo Pasolini)

Il lettore mi perdoni se parto “giornalisticamente” da una situazione esistenziale. Mi sarebbe difficile farne a meno.

Sono in uno stabilimento di Ostia, tra il turno di lavoro del mattino e quello del pomeriggio. Intorno a me c’è la folla dei bagnanti in un silenzio simile al frastuono e viceversa. Infuria la balneazione.

Quanto a me – occupato a rigenerarmi dal buio insano del laboratorio di doppiaggio – ho in mano “L’Espresso”. L’ho letto quasi tutto, come fosse un libro.

Guardo la folla e mi chiedo: “Dov’è questa rivoluzione antropologica di cui tanto scrivo per gente tanto consumata nell’arte di ignorare?”. E mi rispondo: “Eccola”. Infatti la folla intorno a me, anziché essere la folla plebea e dialettale di dieci anni fa, assolutamente popolare, è una folla infimo-borghese, che sa di esserlo, che vuole esserlo.

Dieci anni fa amavo questa folla; oggi essa mi disgusta. E mi disgustano soprattutto i giovani (con un dolore e una partecipazione che finiscono poi col vanificare il disgusto): questi giovani imbecilli e presuntuosi, convinti di essere sazi di tutto ciò che la nuova società offre loro: anzi, di essere, di ciò, esempi quasi venerabili.

E io sono qui, solo, inerme, gettato in mezzo a questa folla, irreparabilmente mescolato ad essa, alla sua vita che mostra tutta la sua “qualità” come in un laboratorio. Niente mi ripara, niente mi difende. Io stesso ho scelto questa situazione esistenziale tanti anni fa, nell’epoca precedente a questa, ed ora mi ci trovo per inerzia: perché le passioni sono senza soluzioni e senza alternative. D’altra parte dove fisicamente vivere?

(Pier Paolo Pasolini, “Lettere luterane”, articolo “Fuori dal palazzo”, ed. Einaudi)

Ogni rilettura è un tentativo di ricomprendere ciò che un tempo ci aveva affascinato o era rimasto oscuro, una nuova interpretazione, non è detto migliore, alla luce di quanto nel frattempo abbiamo immagazzinato nel cervello. Quanto premesso assume una valenza ancora maggiore quando l’autore riletto è del rango di Pier Paolo Pasolini.

Molti anni fa mi avvicinai a Pasolini affascinato dall’aura che, ai miei occhi giovanili, lo circondava. Ne subii la fascinazione e le letture furono, devo riconoscerlo, abbastanza acritiche. Assorbivo il tutto senza grandi filtri, forse anche perché alcuni accenti apocalittici li sentivo particolarmente miei, al di là del contenuto specifico degli articoli. Non che adesso abbia da criticare chissà cosa o rivedere il mio giudizio su Pasolini. Ai miei occhi resta un gigante del pensiero. Continua a leggere…

“Elogio (senza esagerare) della solitudine”


A Ferragosto le città si svuotano, senza tuttavia riempire i paesini di provincia, che a loro volta si rivelano lande desolate e assolate a chi si sottrae ai movimenti collettivi verso lidi o montagne. Per le strade, così, restano pochi passeggiatori abituali e qualche cane randagio in cerca di compagnia. Proprio osservando un cane solitario, può capitare di imbattersi in pensieri circa la “solitudine”. Il vocabolario ci dice che la solitudine è “la condizione, lo stato di chi è solo, come situazione passeggera o duratura”. Come è intuibile, la differenza tra “passeggera” e “duratura” non è di poco conto. Ancora più dirimente è stabilire se la “solitudine” dell’individuo sia volontaria o meno. Sull’argomento si potrebbe scrivere un trattato “a miliardi di mani” (o di zampe) senza venire a capo di nulla, perché ciascuno vive la propria solitudine in maniera più o meno continuativa e soprattutto con “coloriture” diverse, dal nero più tetro al rosso più sgargiante.

Senza ridicole pretese di esaustività, è possibile procedere in maniera frammentaria e ripescare nella memoria alcune testimonianze sul tema, a riprova delle molteplici sfumature che la parola “solitudine” può avere per ciascuno.

La prima “immagine” è il breve discorso di Fabrizio De André riportato a inizio articolo, nel quale il cantautore sottolinea il valore sociale della “solitudine”, sia pure senza auspicare un’esistenza da eremiti ed evidenziando, in un inciso, che sta parlando della “solitudine” scelta e non di quella, per esempio, dei malati e degli anziani abbandonati a se stessi.

Il riferimento al “politico solitario, che è un politico fottuto” ci porta all’inizio del capitolo XXXIX, libro I dei “Saggi” di Montaigne, intitolato, per l’appunto, “Della solitudine”, Continua a leggere…

L’inespresso (H. James, W. Faulkner, Totò, Marlene kuntz e chi più ne ha più ne metta)

Sto leggendo “La bestia nella giungla” di Henry James. Ho la sensazione che mi dedicherò anche ad altre sue opere, perché mi sta “prendendo”. Forse scriverò qualcosa su quello che sto leggendo, intanto però ne riporto un passaggio. Mentre leggevo le parole di James, mi sono tornate in mente una frase di Faulkner e una scena tratta da “Che cosa sono le nuvole” di Pasolini. I due libri e il filmato probabilmente non hanno granché ad accomunarli. Nello specifico, però, ciascuno dei tre fa riferimento a qualcosa di vago, indefinito, inespresso, un ‘qualcosa’ che talvolta sentiamo ma che non riusciamo a esprimere, oppure che non ‘vogliamo’ esprimere perché ci fa paura pronunciare certe parole che renderebbero ‘reale’ ciò che ci piace conservare come sola sensazione, o ancora che è meglio non esprimere, perché una volta espresso quel ‘qualcosa’ perirebbe all’istante.

P.s.: dopo aver scritto quanto sopra mi è venuta in mente anche “Canzone ecologica” dei Marlene Kuntz. La aggiungo in coda. Poi mi fermo, altrimenti di questo passo quest’articolo, nato per essere breve, diventa un poema.

Lei non voleva dire quello che tutti e due sapevamo. “La ragione per cui non lo vuoi dire è che quando lo dici, anche a te stessa, dopo saprai che è vero. Perché non vuoi dirlo, neanche a te stessa?”. Lei non vuole dirlo.

(W. Faulkner, “Mentre morivo”).

“Beh, pensavo fosse proprio questo il punto a cui volete arrivare…il fatto che non abbiamo mancato di guardare in faccia praticamente ogni cosa.”

“Compresi noi due, l’uno con l’altra?”, May sorrise di nuovo. “Ma avete ragione voi. Ci siamo sempre scambiati grandi fantasie, spesso grandi paure; ma molte altre sono rimaste inespresse.”

“Allora, il peggio…quello non l’abbiamo affrontato. Per quel che mi riguarda, ritengo di poterlo affrontare solo se sapessi quale pensate che sia. Mi sento”, spiegò Marcher, “come se avessi perduto la capacità di concepire simili cose.” E si domandò se davvero appariva confuso come lui si sentiva. “Come se si fosse esaurita…”

“Perché allora date per scontato”, chiese lei, “che la mia non lo sia?”

“Perché mi avete dato le prove del contrario. Perché non è questione di concepire, di immaginare, di confrontare. Non si tratta ora di scegliere.” E infine si decise a parlare chiaro. “Voi sapete qualcosa che io non so. Me l’avete lasciato intendere prima.” Continua a leggere…

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