Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

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“Sulla stupidità” (Robert Musil)

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“Sia per paura di apparire stupidi, sia per paura di offendere la buona creanza, molti si considerano intelligenti, però non lo dicono. E se proprio si sentono costretti a parlare, usano perifrasi e dicono ad esempio: «Non sono più stupido di altri». Ancora più in voga è introdurre nel discorso, con il tono più distaccato e obiettivo possibile, la considerazione: «Posso ben dire di possedere un’intelligenza normale». E talvolta la convinzione di essere intelligente fa la sua comparsa di straforo, come nella locuzione: «Non mi faranno passare per stupido!».
Tanto più degno di nota è il fatto che non è solo il singolo individuo, nel segreto dei suoi pensieri, a considerarsi intelligente e straordinariamente dotato, ma è anche l’uomo che agisce nella storia e fa dire di sé, non appena ne ha il potere, che è oltre ogni misura saggio, illuminato, nobile, eminente, misericordioso, eletto da Dio e predestinato a segnare nella storia un’orma incancellabile. E lo dice volentieri anche di un altro, qualora si senta illuminato dal riflesso di costui. In titoli e appellativi come Maestà, Eminenza, Eccellenza, Vostra Magnificenza, Vostra Grazia, tutto ciò si è conservato in uno stato di fossilizzazione e non è praticamente più ravvivato dal soffio della coscienza: ma si manifesta di nuovo e immediatamente in tutta la sua vitalità quando l’uomo, oggi, parla come massa. Una condizione medio-bassa dello spirito e dell’anima si abbandona del tutto spudoratamente alla sua presunzione, non appena può presentarsi sotto la tutela del partito, della nazione, della setta o della corrente artistica, e può dire «noi» invece di «io».”
(Robert Musil, “Sulla stupidità”, ed.SE)

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“Le cose sarebbero potute andare anche diversamente”

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“In quel momento Ulrich non desiderava altro che essere un uomo senza qualità. Ma questo vale quasi per tutti. In fondo, negli anni della maturità, pochi individui sanno sono di fatto arrivati a sé stessi, ai propri piaceri, alla propria visione del mondo, alla propria moglie, al proprio carattere, mestiere, e ai propri successi, ma hanno la sensazione di non poter più cambiare molto ormai. Si potrebbe persino sostenere che sono stati ingannati, perché è impossibile trovare una ragione sufficiente perché le cose siano andate proprio in quel modo; sarebbero potute andare anche diversamente; gli avvenimenti sono derivati solo in minima parte dal loro contributo, per lo più sono dipesi da qualsivoglia circostanza, dall’umore, dalla vita, dalla morte di tanta altra gente, e solo in quel dato momento sono per così dire venuti loro incontro. In gioventù la vita si trovava ancora davanti a loro come un mattino inesauribile, colmo da ogni parte di possibilità e di nulla, ma ecco che già a mezzogiorno all’improvviso c’è qualcosa che può a ragione pretendere di essere ormai la loro vita, e questo è nel complesso non meno sorprendente del trovarsi d’un tratto di fronte una persona con la quale ci siamo scritti per vent’anni senza mai conoscerla e che ci siamo immaginati del tutto diversa. Ma ancora più strano è che la maggior parte della gente neppure se ne accorge; adottano l’uomo che è giunto da loro, nella cui vita si sono immedesimati; ora le sue esperienze le considerano espressione delle loro qualità, e il suo destino è merito o sfortuna loro. A queste persone è capitato qualcosa di simile a quello che accade alla mosca con la carta moschicida; qui li ha imprigionati su un peluzzo, lì ha bloccato un loro movimento, e gradualmente li ha avvolti fino a seppellirli in una spessa pellicola che solo molto lontanamente corrisponde alla loro forma originaria.”

(Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, ed. Newton Compton)

“Contorcimenti mentali”

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“Nella bella letteratura, purtroppo, nulla è così difficile da descrivere come un uomo che pensa. Quando una volta gli fu chiesto come facessero a venirgli in mente tante cose nuove, un grande inventore rispose: «Pensandoci di continuo». E, in effetti, è proprio vero che le idee inaspettate vengono in mente solo perché uno se le aspetta. Esse sono in una discreta parte il risultato del carattere, di predisposizioni stabili, di un’ambizione costante e di un’attività instancabile. Quanto dev’essere noiosa una tale costanza! Sotto un altro aspetto, poi, la soluzione di un problema intellettuale non è molto diversa da ciò che avviene quando un cane con un bastone in bocca vuole passare per una porta stretta: gira il capo a destra e a sinistra, finché il bastone si infila dentro, proprio come facciamo noi, con l’unica differenza che i nostri tentativi non sono del tutto casuali, ma per esperienza sappiamo già all’incirca cosa si debba fare. E benché una testa pensante sia naturalmente molto più abile ed esperta nelle rotazioni di uno stupido cane, tuttavia riuscire a infilarsi dentro rappresenta una sorpresa anche per lui; accade all’improvviso, ed egli percepisce in sé un certo stupore, come se i pensieri avessero fatto tutto da soli anziché aspettare il loro creatore. Questo stupore viene definito oggi, da molti, intuizione, mentre un tempo lo si chiamava anche ispirazione, e si pensa che debba trovarsi in essa qualcosa di sovrapersonale; invece si tratta unicamente di qualcosa di impersonale, ossia l’affinità e l’omogeneità di ciò che si incontra in una mente.
Quanto migliore è la mente, tanto meno la si percepisce. Per questo il pensare, finché si sta pensando, in fin dei conti è una condizione estremamente penosa, una specie di colica di tutti i contorcimenti mentali, mentre quando si è finito di pensare non ha più la forma del pensiero nel quale si pensa, ma già quella del pensato, e questo è purtroppo una forma impersonale, poiché il pensiero è ora rivolto all’esterno, pronto per essere comunicato al mondo. Quando un individuo pensa è impossibile per così dire agguantare il momento di passaggio dal personale all’impersonale, e dunque il pensare mette chiaramente in tale imbarazzo gli scrittori, al punto che essi preferiscono evitarlo.”
(Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, ed. Newton Compton)

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“Era pur sempre pronto ad amare tutte quelle immagini della vita. Ma ciò che non gli riusciva era di amarle senza riserva, com’è necessario per sentirsi a proprio agio nel mondo; da molto tempo su tutto quello che faceva e sentiva si posava come un alito di disgusto, un’ombra di impotenza e solitudine, un’antipatia universale, rispetto alla quale non riusciva a trovare una simpatia complementare.”
(Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, ed. Newton Compton)

“Senso di realtà, senso di possibilità” (Robert Musil)

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“Per riuscire a varcare porte aperte, si deve badare al fatto che gli stipiti sono duri: questo principio che il vecchio professore aveva seguito per tutta la vita, è semplicemente un postulato del senso di realtà. Ma se c’è il senso di realtà, e di questo nessuno dubiterà, poiché è legittimo che esista, allora deve esistere anche qualcosa che si può chiamare senso di possibilità. Chi lo possiede, non dice ad esempio: «Qui è accaduto, accadrà, o deve accadere questo o quello», ma dirà: «Qui potrebbe, o dovrebbe accadere questo»; e se di qualcosa gli si spiega che è come è, allora penserà: «Certo, ma potrebbe anche essere diversamente». Quindi, il senso di possibilità può essere definito addirittura come la capacità di pensare a tutto ciò che potrebbe essere e di non considerare ciò che è più importante di ciò che non è. Le conseguenze di questa indole creativa, com’è evidente, possono essere significative, e purtroppo spesso fanno apparire sbagliato quel che gli uomini ammirano e lecito ciò che essi vietano, o entrambe le cose come indifferenti. Questi individui della possibilità vivono, come si suol dire, in una trama più sottile, fatta di fumo, immaginazione, fantasticherie e congiuntivi; se un bambino manifesta una tale tendenza, gliela si fa passare con metodi energici e, davanti a lui, quelle persone vengono definite visionarie, sognatrici, vigliacche e saccenti o criticone.”
(Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, ed. Newton Compton)

P.s.: lessi questo straordinario libro di Musil tanti anni fa, in un’edizione Einaudi presa in biblioteca. Qualche mese fa ho comprato l’edizione Newton Compton, approfittando anche del prezzo. “L’uomo senza qualità” è uno di quei libri che non mi basta aver letto, ma che voglio avere a portata di mano. Non ho mai avuto particolare intenzione di rileggere, ma stasera, cercando qualcosa nello scaffale dei libri, mi sono sentito “chiamare” da Musil che, ho scoperto poco dopo nella prefazione, morì il 15 aprile. Il fatto che oggi sia il 14 aprile è una mera coincidenza, anzi nemmeno lo è, considerando che 14 è diverso da 15.

“Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento” (Giuseppe Di Giacomo)

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“Se gli eroi del romanzo ottocentesco lottano per far trionfare il senso, la totalità, sul non-senso del mondo (il mondo abbandonato da dio), Dostoevskij coglie il senso nel cuore stesso del non-senso. Per l’uomo di Dostoevskij tutto è nello stesso tempo senso e non-senso. Per questo in Dostoevskij c’è salvezza nell’abiezione estrema. Ogni tentativo di spiegare il personaggio, di ricondurlo a una logica coerenza, è vanificato: non c’è un ‘fuori’ dal quale il personaggio, e il lettore con lui, possa vedere e vedersi, distinguendo il senso dal non-senso, e superare così la sua fondamentale paradossalità; né si offre al personaggio alcuna possibilità di conoscersi, alcuna coscienza dei propri movimenti interni. Questi ultimi si producono infatti senza che nessuna spiegazione possa connetterli tra loro e perciò comprendere e giustificare: si danno ‘catastroficamente’. Di qui l’esclusione dall’opera di Dostoevskij di quei ‘momenti privilegiati’ che ricorrono in Proust, nei quali la vita della coscienza si rivela come totalità, verità ed essenza”.

(Giuseppe Di Giacomo, “Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento”, Editori Laterza)

Nell’estate del 2012, se la memoria non m’inganna, ascoltai una conferenza del professor Giuseppe Di Giacomo, ospite di una rassegna cinematografica organizzata nel mio paese. Avevo già letto un suo libro su Wittgenstein, oltre ad ascoltare alcune registrazioni di sue lezioni universitarie. Sono giunto, quindi, abbastanza preparato all’appuntamento con “Estetica e Letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento”. Sapevo che avrei trovato argomenti di mio interesse, ma adesso posso affermare che un libro del genere avrei potuto scriverlo io. Prima che il lettore m’insulti per una possibile espressione di vanità personale, Continua a leggere…

“Spiagge straniere” (J. M. Coetzee)

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Dopo aver “scoperto” J. M. Coetzee grazie alla lettura del romanzo “Vergogna”, ho preso in prestito dalla biblioteca anche “Spiagge straniere”, stimolato anche dai titoli dei singoli capitoli costituenti la raccolta. Il volume, infatti, racchiude dodici scritti pubblicati tra il 1993 e il 1999, alcuni dei quali riguardanti autori che ammiro. La prima metà del libro, in particolare, è stata per me molto stimolante, perché mi ha permesso un confronto tra le mie impressioni e quelle di Coetzee. La restante parte, invece, mi ha incuriosito su altri romanzieri che finora conosco solo di fama, ma che ancora non ho approfondito.

Il primo scritto è intitolato “Che cos’è un classico?” ed è un tentativo di comprendere perché definiamo classico un certo romanzo o un autore musicale. Coetzee Continua a leggere…

“Il letterato e la letteratura” (Robert Musil)

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“Analizzando un qualsivoglia scrittore (sia in base alla forma che al contenuto o anche secondo il significato desiderato), non si troverà in lui nient’altro che i frantumi dei suoi predecessori, e per di più non “scomposti” del tutto o “riassimilati”, bensì tali e quali, a pezzi irregolari. Ci si dovrebbe forse scusare per il ricorso a tali espressioni, ma non esiste altra spiegazione o descrizione adeguata per questo processo della tradizione letteraria, e si può sicuramente sostenere che anche lo scrittore più indipendente non crea niente che non possa essere dimostrato dipendente, quasi completamente, dalle forme e dai contenuti tramandati dalla tradizione e da lui assimilati; ciò, tuttavia, come si vede, non compromette affatto la sua originalità e la sua importanza personale”

(Robert Musil, “Il letterato e la letteratura”, ed. Guerini e Associati)

Scritto dopo la pubblicazione della prima parte del grande romanzo filosofico “L’uomo senza qualità”, del quale rappresenta un parziale condensato teorico-estetico, il saggio “Il letterato e la letteratura” è un’interessante digressione su diversi argomenti attinenti la scrittura. Avevo letto questo testo alcuni anni fa, ma devo dire che questa seconda lettura mi ha consentito di coglierne sfumature che all’epoca mi erano sfuggite o che nel frattempo avevo dimenticato. Il saggio è di circa quaranta pagine, arricchito da note molto esplicative che forniscono al lettore ulteriori spunti di riflessione, oltre a chiarimenti circa le fonti e i riferimenti di Musil.

Tutto lo scritto è attraversato dal tentativo di mostrare come, secondo Musil, Continua a leggere…

Sulla stupidità (Robert Musil)

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“Cominciamo, dunque, in un modo qualsiasi. E tanto vale cominciare con questa difficoltà iniziale: chiunque voglia dire oppure ascoltare con profitto una cosa qualunque a proposito della stupidità, deve presupporre di non essere egli stesso stupido. Perciò egli ostenta la sua intelligenza, benché ciò sia generalmente considerato un segno di stupidità! Ma se ci domandiamo perché sia considerato da stupidi ostentare la propria intelligenza, la risposta che per prima s’impone sembra emergere dalla polvere di tempi andati. Perché tale risposta suona: è più prudente non mostrarsi intelligenti. È probabile che questa prudenza, così malfidata e oggi, a tutta prima, addirittura incomprensibile, trovi la sua origine in una situazione nella quale, per il più debole, era davvero più intelligente non farsi passare per intelligente: la sua intelligenza avrebbe potuto minacciare la vita del più forte! La stupidità, al contrario, sopisce la diffidenza, la “disarma”, come diciamo ancora al giorno d’oggi. Infatti tracce di questa furberia, di questa stupidità “astuta”, Continua a leggere…

Il Governo Letterario

E dopo il Governo tecnico? In attesa di una “ridefinizione del quadro politico nazionale alla luce dell’esperienza in atto”, in un’ottica di “valorizzazione delle risorse culturali atte a non disperdere il patrimonio culturale acquisito” e con un occhio semi-aperto sulle prossime “piattaforme programmatiche”, e bla bla bla bla, in attesa di tutto ciò, vi svelo in anteprima quale sarà la mia personale squadra di Governo.

Si tratta di un Governo Letterario. Qui sotto, in esclusiva assoluta per voi, la lista dei Ministri e un brevissimo curriculum vitae di ciascuno dei prossimi titolari di dicasteri. Per informazioni ulteriori cliccate sui link.

PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Il principe Myskin. Lo spessore morale di tale personaggio è a prova di bomba. L’esperienza del passato l’ha temprato, rendendolo meno vulnerabile. È il momento delle responsabilità per l’ex Idiota.

MINISTRI CON PORTAFOGLIO

  • AFFARI ESTERI

Ulisse. Ha girato abbastanza il mondo, intessendo relazioni a destra, a manca, in alto e in basso, per mari e per monti.

  • INTERNO

Lenore Beadsman. La giovane ragazza ha dimostrato, ne “La scopa del sistema”, un’indomabile volontà nella ricerca della propria nonna scomparsa, non disgiunta da una sensibilità fuori dal comune.

  • GIUSTIZIA

Don Ciccio Ingravallo. La sua carriera è iniziata con “Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana”. Da allora tanta acqua è passata sotto (e anche sopra) i ponti. “Metterò mano alla tanto rimandata Riforma della Giustizia”: che sia una promessa o una minaccia, lo giudicherà la Storia (o la Filosofia, fate voi).

  • DIFESA

Giovanni Drogo. L’esperienza presso la Fortezza Bastiani lo ha edotto sulle più utili, ma soprattutto le più inutili, tecniche di difesa dal Nemico, sia esso esistente o meno.

  • ECONOMIA E FINANZE

Il Banchiere Anarchico descritto da Pessoa. Il soprannome parla da sé, non credo servano delucidazioni ulteriori. Continua a leggere…

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