Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

Archivio per il tag “Marlene kuntz”

“La vera vita di Sebastian Knight” (Vladimir Nabokov)

Nabokov

“Sebastian passava la maggior parte della giornata a scrivere, ma la sua gestazione era così laboriosa che raramente la sera c’erano da battere più di due paginette nuove e anche queste dovevano essere rifatte più volte, perché l’autore si abbandonava a un’orgia di correzioni; e ogni tanto faceva quello che io penso nessun altro scrittore abbia mai fatto – ricopiava con la sua calligrafia obliqua, così poco inglese, il foglio già battuto, e poi lo dettava da capo. La sua lotta con le parole era quanto mai tormentosa, e per due motivi. Uno l’aveva in comune con scrittori del suo genere: il bisogno di colmare l’abisso tra espressione e pensiero; la sensazione esasperante che le parole giuste, le parole uniche, aspettano sulla riva opposta, nella lontananza caliginosa, mentre i brividi del pensiero ancora ignudo le invocano da questa parte dell’abisso. Non gli servivano le frasi già confezionate perché le cose che lui voleva dire avevano una taglia eccezionale, e inoltre sapeva che nessuna vera idea può esistere veramente senza le parole tagliate su misura.”

(Vladimir Nabokov, “La vera vita di Sebastian Knight”, ed. Adelphi)

A parte qualche significativa eccezione, per esempio “La lingua salvata di Canetti, non amo le biografie e le autobiografie, e infatti il libro di cui sto scrivendo, cioè “La vera vita di Sebastian Knight” di Nabokov, non è né l’una né l’altra, sebbene il titolo, ma anche la trama stessa del romanzo, contengano elementi che rimandano proprio a tali macrocategorie. Il punto è che Sebastian Knight è uno scrittore inesistente, però guarda caso nato nel 1899 in Russia, come Nabokov, poi emigrato, che scrive in lingua inglese e che muore abbastanza precocemente. Chi è che scrive, o cerca di scrivere, la “vera vita” di Knight? Nabokov, certo, ma servendosi di V. (un’iniziale non qualunque), fratellastro di Knight, che si lancia in un’impresa ardua qual è quella di ricostruire le reali circostanze dell’esistenza del defunto fratello, Continua a leggere…

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“Elogio (senza esagerare) della solitudine”


A Ferragosto le città si svuotano, senza tuttavia riempire i paesini di provincia, che a loro volta si rivelano lande desolate e assolate a chi si sottrae ai movimenti collettivi verso lidi o montagne. Per le strade, così, restano pochi passeggiatori abituali e qualche cane randagio in cerca di compagnia. Proprio osservando un cane solitario, può capitare di imbattersi in pensieri circa la “solitudine”. Il vocabolario ci dice che la solitudine è “la condizione, lo stato di chi è solo, come situazione passeggera o duratura”. Come è intuibile, la differenza tra “passeggera” e “duratura” non è di poco conto. Ancora più dirimente è stabilire se la “solitudine” dell’individuo sia volontaria o meno. Sull’argomento si potrebbe scrivere un trattato “a miliardi di mani” (o di zampe) senza venire a capo di nulla, perché ciascuno vive la propria solitudine in maniera più o meno continuativa e soprattutto con “coloriture” diverse, dal nero più tetro al rosso più sgargiante.

Senza ridicole pretese di esaustività, è possibile procedere in maniera frammentaria e ripescare nella memoria alcune testimonianze sul tema, a riprova delle molteplici sfumature che la parola “solitudine” può avere per ciascuno.

La prima “immagine” è il breve discorso di Fabrizio De André riportato a inizio articolo, nel quale il cantautore sottolinea il valore sociale della “solitudine”, sia pure senza auspicare un’esistenza da eremiti ed evidenziando, in un inciso, che sta parlando della “solitudine” scelta e non di quella, per esempio, dei malati e degli anziani abbandonati a se stessi.

Il riferimento al “politico solitario, che è un politico fottuto” ci porta all’inizio del capitolo XXXIX, libro I dei “Saggi” di Montaigne, intitolato, per l’appunto, “Della solitudine”, Continua a leggere…

Rossore.

A quaranta gradi all’ombra può accadere di avere il volto paonazzo e grondante di sudore. Un’immagine non certo poetica, quanto meno ai miei occhi. Quest’articolo, però, non è un tentativo di descrivere vicende di spiaggianti più o meno abbronzati, ma una minuscola, superficiale, disarticolata e non pretenziosa indagine sul rossore dovuto alla timidezza. Sì, questo “mostro” a svariate teste, che può paralizzare o affascinare, e che per l’appunto può manifestarsi anche attraverso un rossore del volto.

Provenendo da quelle lande (ho una Laurea ad honorem in Timidezza Adolescenziale, più svariati titoli che non sto qui a elencarvi), ed essendone uscito fuori da un po’ (ma non sono diventato un giullare di corte), resto tuttora affascinato, nei limiti dell’umana reciproca empatia, da talune persone che arrossiscono per i più svariati motivi, dal più apparentemente banale (chiedere “che ora è?”) al più impegnativo (“ti amo?”, “vuoi venire con me a leggere Kierkegaard sdraiati su uno scoglio?”). Mi sembra di andare “Alla Ricerca del (mio) Rossore (quasi) Perduto. Continua a leggere…

L’inespresso (H. James, W. Faulkner, Totò, Marlene kuntz e chi più ne ha più ne metta)

Sto leggendo “La bestia nella giungla” di Henry James. Ho la sensazione che mi dedicherò anche ad altre sue opere, perché mi sta “prendendo”. Forse scriverò qualcosa su quello che sto leggendo, intanto però ne riporto un passaggio. Mentre leggevo le parole di James, mi sono tornate in mente una frase di Faulkner e una scena tratta da “Che cosa sono le nuvole” di Pasolini. I due libri e il filmato probabilmente non hanno granché ad accomunarli. Nello specifico, però, ciascuno dei tre fa riferimento a qualcosa di vago, indefinito, inespresso, un ‘qualcosa’ che talvolta sentiamo ma che non riusciamo a esprimere, oppure che non ‘vogliamo’ esprimere perché ci fa paura pronunciare certe parole che renderebbero ‘reale’ ciò che ci piace conservare come sola sensazione, o ancora che è meglio non esprimere, perché una volta espresso quel ‘qualcosa’ perirebbe all’istante.

P.s.: dopo aver scritto quanto sopra mi è venuta in mente anche “Canzone ecologica” dei Marlene Kuntz. La aggiungo in coda. Poi mi fermo, altrimenti di questo passo quest’articolo, nato per essere breve, diventa un poema.

Lei non voleva dire quello che tutti e due sapevamo. “La ragione per cui non lo vuoi dire è che quando lo dici, anche a te stessa, dopo saprai che è vero. Perché non vuoi dirlo, neanche a te stessa?”. Lei non vuole dirlo.

(W. Faulkner, “Mentre morivo”).

“Beh, pensavo fosse proprio questo il punto a cui volete arrivare…il fatto che non abbiamo mancato di guardare in faccia praticamente ogni cosa.”

“Compresi noi due, l’uno con l’altra?”, May sorrise di nuovo. “Ma avete ragione voi. Ci siamo sempre scambiati grandi fantasie, spesso grandi paure; ma molte altre sono rimaste inespresse.”

“Allora, il peggio…quello non l’abbiamo affrontato. Per quel che mi riguarda, ritengo di poterlo affrontare solo se sapessi quale pensate che sia. Mi sento”, spiegò Marcher, “come se avessi perduto la capacità di concepire simili cose.” E si domandò se davvero appariva confuso come lui si sentiva. “Come se si fosse esaurita…”

“Perché allora date per scontato”, chiese lei, “che la mia non lo sia?”

“Perché mi avete dato le prove del contrario. Perché non è questione di concepire, di immaginare, di confrontare. Non si tratta ora di scegliere.” E infine si decise a parlare chiaro. “Voi sapete qualcosa che io non so. Me l’avete lasciato intendere prima.” Continua a leggere…

Chi mi credo d’essere? Uno, nessuno e centomila (Pirandello e Marlene kuntz)

“Punti di tangenza”. Per la sterile rubrica, oggi la corrispondenza è tra “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello e la canzone “Chi mi credo d’essere?” dei Marlene Kuntz. Questi ultimi già sono stati ‘protagonisti’ di precedenti puntate e credo torneranno a breve. Non è colpa mia se mi piacciono, semmai è merito di Godano. L’affinità è palese, il tema evidente sin dai titoli. La personalità multipla, la dissoluzione dell’io, e via di questo passo. In questo, c’è anche un certo legame con il precedente articolo su Pessoa.

“Era proprio la mia quell’immagine intravista in un lampo? Sono proprio così, io, di fuori, quando – vivendo – non mi penso? Dunque per gli altri sono quell’estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già quale mi conosco: quell’uno lì che io stesso in prima, scorgendolo, non ho riconosciuto. Sono quell’estraneo che non posso veder vivere se non così, in un attimo impensato. Un estraneo che possono vedere e conoscere solamente gli altri, e io no”.

E mi fissai d’allora in poi questo proposito disperato: d’andare inseguendo quell’estraneo ch’era in me e che mi sfuggiva; che non potevo fermare davanti a uno specchio perché subito diventava me quale io mi conoscevo; quell’uno che viveva per gli altri e che io non potevo conoscere; che gli altri vedevano vivere e io no. Lo volevo vedere e conoscere anch’io così come gli altri lo vedevano e conoscevano.

Ripeto, credevo ancora che fosse uno solo questo estraneo: uno solo per tutti, così come uno solo credevo d’esser io per me. Ma presto l’atroce mio dramma si complicò: con la scoperta dei centomila Moscarda ch’io ero non solo per gli altri ma anche per me, tutti con questo solo nome di Moscarda, brutto fino alla crudeltà, tutti dentro questo mio povero corpo ch’era uno anch’esso, uno e nessuno ahimé, se me lo mettevo davanti allo specchio e me lo guardavo fisso e immobile negli occhi, abolendo in esso ogni sentimento e ogni volontà.

Quando il mio dramma si complicò, cominciarono le mie incredibili pazzie.

(Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila”)

Numerose immagini arruolate dalle idee

di un bel po’ di fervidi pensieri

splendono di vita nuova e fanno gli altri me Continua a leggere…

Don Chisciotte

“Don Chisciotte” di Miguel de Cervantes Saavedra non ha bisogno di molte presentazioni, anche chi non l’ha letto probabilmente sa cosa significa un “atteggiamento donchisciottesco” o “lottare contro i mulini a vento”. Per la mia rubrica “Punti di tangenza”, che in qualche modo, visto che l’ho iniziata, devo condurre avanti, propongo due canzoni che fanno riferimento al romanzo.

La prima è l’omonima “Don Chisciotte” di Francesco Guccini, la seconda “Amen” dei Marlene kuntz. Guccini mette a confronto lo slancio idealistico di Don Chisciotte con il realismo del suo fido scudiero Sancho Panza, evidenziando, con un testo dialettico, come le diversità tra i due non impediscano loro di unirsi nella lotta contro le ingiustizie. Godano focalizza la sua attenzione unicamente sul “cavaliere dalla triste figura”, evidenziando le paure e l’impossibilità di una lotta destinata a spegnersi in maniera fatale.

“Ma quando cala la sera
e abbuia la città intera
rubente s’illumina
d’immensa ebetudine…
E affronta assurde paure
in nebulose avventure
il guitto dell’anima
che sbronzo si spegnerà.”

“Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore…
E’ la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.”

Poeti (in attesa del nome della rubrica)

Con questo articolo inizio una rubrica a cadenza tutta da stabilire. Non ha nemmeno un titolo, perché “affinità elettive” è già stato usato da qualcuno ‘leggermente’ più famoso di me. In ogni caso, a questo dettaglio, cioè a come chiamarla, penserò strada facendo, o forse no. A farla breve, pubblicherò una serie di canzoni che fanno riferimento in maniera più o meno esplicita a testi letterari. Oppure film che fanno riferimento a libri, o libri a canzoni, o libri a film, insomma, ci siamo intesi, più o meno.

Il primo parallelismo che vi propongo è tra “Poeti” dei Marlene kuntz e “L’onesto rifiuto” di Guido Gozzano. Qui è tutto abbastanza esplicito e voluto.  Vi riporto il video e poi i due testi. Sappiate farne l’uso che volete: confrontare, apprezzare, non apprezzare, ignorare.

Poeti (testo di Cristiano Godano)

Sono il tuo poeta e scendo le acque erratiche e limpide

di una venerazione-fiume, senza temere le rapide.

Son sul flusso che mi ti porta e sto sdraiato a naso in su:

quando alla baia la barca è giunta a braccia aperte ci sei tu.

Ohh, amami quanto vuoi:

scintillerò di rime in fondo agli occhi tuoi.

Ohh, tu vieni dentro ai miei:

quel che troverai è quello che tu sei per me in ogni istante.

“Un mio gioco di sillabe ti illuse” il gran poeta fissò, Continua a leggere…

Musica dal sottosuolo

Oggi propongo una lista di album che a mio modesto avviso meritano di essere ascoltati. Ovviamente un elenco del genere potrebbe essere sterminato e dispersivo, perciò mi limito a segnalare alcuni artisti italiani che non hanno mai ottenuto, salvo qualcuno, la visibilità che secondo me meriterebbero. Mi rendo conto che il criterio della ‘italianità’ è arbitrario, così come lo è il mio giudizio sulla loro abilità, ma bisogna pure darsi dei limiti d’indagine, e poi di mestiere non faccio il critico musicale, quindi tutto va preso come un ‘gioco’. Di ciascun gruppo segnalerò uno o al massimo due album, con relativo link a una canzone o video estratto dall’album stesso, così che chi abbia voglia possa avere un assaggio, nel caso non conoscesse l’artista. Ovviamente ciò non significa che gli altri album non meritino. Ok, stilo la lista, adottando un’altra gabbia, l’ordine alfabetico, neanche troppo rigoroso. Ho già scritto troppo, vado al sodo, certamente dimenticando molti nomi.

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