Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

Archivio per il tag “linguaggio”

“Questo è il re” (da “Ricerche filosofiche” di Wittgenstein)

Chess_piece_-_White_king
(Wittgenstein mi perdoni, ma propongo, a chi voglia, un “gioco linguistico” casareccio. Si provi a sostituire alla parola “re” la parola “cuore”, o simili, e alla parola “scacchi” la parola “amore” o “disamore”, a seconda del proprio momento. Se ne deducano i risultati eventuali. Poi, per carità, si torni a una lettura più confacente allo spirito originario dell’autore)

Mostrando a qualcuno il pezzo che rappresenta il re nel giuoco degli scacchi e dicendogli: << Questo è il re >>, non gli si spiega l’uso di questo pezzo – a meno che l’altro non conosca già le regole degli scacchi tranne quest’ultima determinazione. Si può immaginare che abbia imparato le regole del giuoco senza che gli venisse mai mostrato un vero pezzo per giocare. In questo caso la forma del pezzo corrisponde al suono o alla configurazione di una parola.

Ma si può anche immaginare che qualcuno abbia imparato il giuoco senza mai apprendere regole, o senza formularle. Per esempio, può darsi che dapprima abbia imparato, osservandoli, giuochi da scacchiera estremamente semplici e sia poi progredito a giuochi sempre più complicati. Anche a costui si potrebbe dare la definizione: << Questo è il re >> – per esempio mostrandogli alcuni pezzi da scacchi di forma a lui inconsueta. Anche questa definizione gli insegna l’uso della figura solo in quanto, potremmo dire, il posto in cui essa andava inserita era già preparato. Oppure anche: Diremo che questa definizione gli insegna l’uso, soltanto nel caso in cui il posto è già preparato. E in questo caso lo è, non perché quello a cui si dà la definizione sappia già le regole del giuoco, ma perché, in un altro senso, è già padrone di un giuoco. Continua a leggere…

Pubblicità

“Lessico famigliare” (Natalia Ginzburg)

ImmagineLessico famigliare

“Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti. Ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. Ci basta dire: “Non siamo venuti a Bergamo per fare campagna” o “De cosa spussa l’acido solfridico”, per ritrovare un tratto i nostri antichi rapporti, e la nostra infanzia e giovinezza, legata indissolubilmente a quelle frasi, a quelle parole. Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio d’una grotta, fra milioni di persone. Quelle frasi sono il nostro latino, il vocabolario dei giorni andati, sono come i geroglifici negli egiziani o degli assiro-babilonesi, la testimonianza d’un nucleo vitale che ha cessato di esistere, ma che sopravvive nei suoi testi, salvati dalla furia delle acque, dalla corrosione del tempo. Quelle frasi sono il fondamento della nostra unità familiare, che sussisterà finché saremo al mondo, ricreandosi e risuscitando nei punti più diversi della terra, quando no di noi dirà – Egregio signor Lipmann – e subito risuonerà al nostro orecchio la voce impaziente di mio padre: – Finitela con questa storia! L’ho già sentita tante di quelle volte!”

(Natalia Ginzburg, “Lessico famigliare”)

Non ero mai stato particolarmente attratto da “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg, non so neanche dire il perché, e mi ci sono avvicinato quasi per caso, dopo aver letto un breve ricordo su Pavese della Ginzburg, del quale ho scritto qualche giorno fa. Dopo averlo letto, devo confessare che, in parte, il mio mancato entusiasmo ha trovato conferma, nel senso che non resterà tra i libri per me indelebili. Continua a leggere…

“Della certezza. L’analisi filosofica del senso comune” (Ludwig Wittgenstein)

Della certezza

“Il bambino impara a credere a un sacco di cose. Cioè, impara, per esempio, ad agire secondo questa credenza. Poco alla volta, con quello che crede si costruisce un sistema e in questo sistema alcune cose sono ferme e incrollabili, altre sono più o meno mobili. Quello che è stabile, non è stabile perché sia in sé chiaro o di per sé evidente, ma perché è mantenuto tale da ciò che gli sta intorno”

(Ludwig Wittgenstein, “Della certezza”, 144)

“Della certezza” è un volume che raccoglie riflessioni che Wittgenstein sviluppò negli ultimi due anni della sua esistenza, purtroppo non avendo modo di rielaborarli, che vertono attorno al tema del cosiddetto “senso comune” e le conseguenti “certezze” che da esso facciamo derivare. Nella prefazione Aldo Gargani spiega, in maniera accurata, cosa dobbiamo intendere per “senso comune”, cioè non presunte cognizioni connaturate all’uomo, ma una sorta di “sapere degradato”, reso tale dalle successive riflessioni e scoperte di carattere scientifico. La scienza, d’altro canto, con le sue successive approssimazioni volte a correggere antiche credenze, è un linguaggio sublimato del senso comune. Wittgenstein, Continua a leggere…

“Ludwig Wittgenstein. Conversazioni e ricordi”

conversazioni_e_ricordi_02

“Ludwig Wittgenstein. Conversioni e ricordi” (ed. Neri Pozza) è un testo pubblicato per la prima volta nel 1984 presso l’Università di Oxford, a cura di Rush Rees e contenente testimonianze dirette di persone che ebbero l’opportunità di conoscere il filosofo autore di opere come il “Tractatus logico-philosophicus” e le “Ricerche filosofiche”. Per me, che ho avuto modo di leggere quelle opere e di scervellarmi nel tentativo di comprenderle, si è trattato di un libro molto emozionante, soprattutto perché sono mostrati aspetti dell’esistenza di Wittgenstein non prettamente legati alla sua produzione. Va subito detto, infatti, che non si tratta d’interpretazioni del suo pensiero filosofico, per quanto inevitabile sia il riferimento allo stesso, bensì di memorie attinenti la sua esistenza quotidiana, le sue relazioni interpersonali, i suoi dubbi, le sue paure, così com’erano scolpite nella mente di coloro che hanno passato giorni accanto al filosofo, spesso consapevoli dell’impossibilità di rapportarsi a un cervello come il suo.

Ne viene fuori un ritratto complesso, di un uomo conscio della propria intelligenza, che non amava gloriarsi della stessa eppure esigente, schietto, elusivo, intransigente, che feriva il prossimo in maniera quasi inconsapevole, incapace di mentire, irascibile, iper-sensibile. Ciò che mi ha colpito di questi ricordi è che non si tratta della solita apologia postuma riguardante un autore o un amico, ma di memorie con sfumature diverse che sottolineano la grandezza del pensatore e dell’uomo senza tuttavia scansare le ruvidezze di un carattere con il quale non era facile relazionarsi. Continua a leggere…

Wittgenstein e l’incanto “intollerabile”.

wittgenstein

Sto leggendo “Wittgenstein. Conversazioni e ricordi” (editore Neri Pozza). Appena lo avrò terminato scriverò qualcosa su questo libro che mi sta interessando molto, per ora riporto un brano di Fania Pascal, che ebbe modo di conoscere Wittgenstein quando quest’ultimo si recò da lei, assieme a un amico, per apprendere il russo.

“Spesso è stato descritto l’aspetto di Wittgenstein: piccolo di statura ma con una profonda energia interiore; ben proporzionato; sguardo acuto, da un uccello in volo. Non l’ho mai visto con un colletto chiuso o con una cravatta. Trovava difficile rimanere seduto o immobile, sembrava sempre sul punto di scappar via da un momento all’altro. La sua espressione, per quanto innocente, aveva qualcosa di serio e intransigente, verso gli altri ma anche verso sé stesso. Poteva dare l’impressione di avercela con tutti. ˂˂Orgoglio diabolico˃˃, lo definivo io, esagerando come sempre. Sembrava assente, tranne quando si rilassava, era assorbito nello studio o raccontava ridacchiando una barzelletta infantile. Quando cominciava a parlare era incantevole, avvincente, ma non credo fosse consapevole di questo dono. L’uomo che sarebbe in seguito divenuto famoso per la dichiarazione: ˂˂La filosofia è una battaglia contro l’incantamento della nostra intelligenza per mezzo del linguaggio˃˃ non si rendeva conto che lui stesso lanciava un incantesimo ogni volta che diceva qualcosa, qualunque fosse. Per contro era un uomo semplice, ammirevolmente disinvolto. Poteva essere estremamente irritante, ma non poteva farci nulla, la sua vita era resa difficile da un’eccessiva sensibilità che interessava tutti i suoi sensi. Rispetto a una persona normale era infastidito da un numero molto maggiore di cose. Pur essendo anch’io incline all’irritazione – anche se forse a quei tempi non quanto oggi – non riesco a immaginare una persona irascibile quanto Wittgenstein. La sua espressione più frequente era l’esclamazione ˂˂intollerabile, intollerabile˃˃, che pronunciava senza la vocale iniziale: ˂˂‘ntollerabile, ‘ntollerabile˃˃, piegando all’indietro la testa e volgendo la testa al cielo. In quei momenti – ma si può dire altrettanto di qualsiasi cosa dicesse – era impossibile dubitare della sua sincerità. Parlavamo sempre in inglese, così come in inglese erano i suoi interventi al Moral Science Club e, per quanto ne so, tutte le sue lezioni. Parlava un inglese idiomatico, immaginifico ed espressivo; una volta iniziato, il discorso fluiva liberamente, ed era un piacere ascoltarlo”.

(Fania Pascal, da “Conversazioni e ricordi”, Neri Pozza editore)

“Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein” (di Giuseppe Di Giacomo)

Dall logica all'estetica

“Nella Prefazione alle Ricerche filosofiche Wittgenstein afferma di aver trascritto sotto forma di osservazioni, di brevi paragrafi, quei pensieri che lo hanno tenuto occupato negli ultimi sedici anni. Si tratta di ricerche filosofiche sul concetto di significato, di comprendere, di proposizione, di logica e di altre cose ancora: “In principio era mia intenzione raccogliere tutte queste cose in un libro […] ma non appena tentavo di costringere i miei pensieri in una direzione facendo violenza alla loro naturale inclinazione, subito questi si deformavano. – E ciò dipendeva senza dubbio dalla natura della stessa ricerca, che ci costringe a percorrere una vasta regione di pensiero in lungo e in largo in tutte le direzioni. – Le osservazioni filosofiche contenute in questo libro sono, per così dire, una raccolta di schizzi paesistici, nati da queste lunghe e complicate scorribande […] Così questo libro è davvero soltanto un album”.

Se il Tractatus si presentava come un libro ˂˂sistematico˃˃ – la sua struttura, infatti, è costituita da proposizioni che vanno da 1 a 7, con varie proposizioni subordinate – le Ricerche filosofiche hanno la forma di un ˂˂album˃˃, che raccoglie ˂˂schizzi paesistici˃˃. È questo un segno della ˂˂contrapposizione˃˃ fra due ˂˂modi di pensare˃˃, della quale Wittgenstein parla in questa stessa Prefazione. In questo senso si è parlato della contrapposizione tra due Wittgenstein: Continua a leggere…

“Creatività” (Emilio Garroni)

garroni-creativita-b

“Le capacità creative umane di adattamento rivelano nello stesso tempo i rischi cui si è esposti, la frammentarietà e limitatezza del controllo pratico-intellettuale, l’impossibilità insomma di un “adattamento totale” mettendo così in crisi l’idea falsa e regressiva (e quindi ben più pericolosa) o piuttosto il desiderio allucinatorio di un’evasiva “sicurezza assoluta” (che non può essere altro di fatto che la sicurezza del porcellino di terra, cui la morte sopravviene inopinatamente dall’esterno, “per caso”, come “per caso” esso sopravvive); ma per ciò stesso restaurano l’unica, realistica garanzia di adattamento su cui è possibile contare. Si ritrova qui la giustificazione propriamente estetica (Kant avrebbe parlato di “conservazione dello stato d’animo”, cioè di “piacere”) di una specializzazione estetica, in quanto già radicata nelle esigenze di un adattamento pratico-conoscitivo. È infatti su quella garanzia, specificamente umana, che può e in qualche modo deve nascere una specializzazione della creatività come tale: ciò che nella conoscenza e nel comportamento pratico è fonte di ansia consapevole può e in qualche modo deve divenire – in una specializzazione estetica – stato d’animo rassicurativo, contropartita dell’ansia, integrazione sentimentale, tale da rendere “sicura”, per così dire, la stessa “insicurezza”, in quanto compresa e dominata mediante un’operazione, anche soltanto soggettiva, di anticipazione e totalizzazione dell’esperienza possibile.”

(Emilio Garroni, “Creatività”, ed. Quodlibet)

“Creatività”, edito dalla Quodlibet, è un volume che raccoglie il saggio di Emilio Garroni pubblicato, in origine, come voce omonima dell’Enciclopedia Einaudi per l’anno 1978. Questa notizia, unita alla considerazione che l’autore è stato per anni Professore di Estetica all’Università La Sapienza di Roma, dovrebbe farvi comprendere quanto per me sia difficile scriverne, e predisporvi a uno stato di magnanimità nei confronti del sottoscritto circa quanto andrò a elaborare. La premessa generale, infatti, è che molti passaggi mi sono risultati oscuri o incomprensibili, perché contenenti riferimenti ad argomenti che non ho trattato mai con frequenza o in maniera specializzata. Nonostante ciò, se sono qui a scriverne e a suggerirne la lettura, è perché quello che ho inteso mi ha appagato, donandomi spunti per ulteriori letture o anche solo per riflessioni. Continua a leggere…

“Non pensare, ma osserva”

“Considera, ad esempio, i processi che chiamiamo ‹‹giuochi››. Intendo giuochi da scacchiera, giuochi di carte, giuochi di palla, gare sportive, e via discorrendo. Che cosa è comune a tutti questi giuochi? – Non dire: ‹‹Deve esserci qualcosa di comune a tutti, altrimenti non si chiamerebbero ‘giuochi’›› – ma guarda se ci sia qualcosa di comune a tutti. – Infatti, se li osservi, non vedrai certamente qualche cosa che sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele, e anzi ne vedrai tutta una serie. Come ho detto: non pensare, ma osserva! – Osserva, ad esempio, i giuochi da scacchiera, con le loro molteplici affinità. Ora passa ai giuochi di carte: qui trovi molte corrispondenze con quelli della prima classe, ma molti tratti comuni sono scomparsi, altri ne sono subentrati. Se ora passiamo ai giuochi di palla, qualcosa di comune si è conservato, ma molto è andato perduto. Sono tutti ‘divertenti’? Confronta il gioco degli scacchi con quello della tria. Oppure c’è dappertutto un perdere e un vincere, o una competizione fra i giocatori? Pensa allora ai solitari. Nei giuochi con la palla c’è vincere e perdere; ma quando un bambino getta la palla contro un muro e la riacchiappa, questa caratteristica è sparita. Considera quale parte abbiano abilità e fortuna. E quanto sia differente l’abilità negli scacchi da quella nel tennis. Pensa ora ai girotondi: qui c’è l’elemento del divertimento, ma quanti degli altri tratti caratteristici sono scomparsi! E così possiamo passare in rassegna molti altri gruppi di giuochi. Veder somiglianze emergere e sparire.”

E il risultato di questo esame suona: Vediamo come una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda. Somiglianze in grande e in piccolo.

(Ludwig Wittgenstein, “Ricerche filosofiche”, 66)

Navigazione articolo

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: