Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

Archivio per il tag “individuo”

“Fuga da Bisanzio” (Iosif Brodskij)

“Se mai un poeta ha un obbligo verso la società, è quello di scrivere bene. Essendo in minoranza, non ha altra scelta. Venendo meno a questo dovere, scivola nell’oblio. La società, d’altra parte, non ha alcun obbligo verso il poeta. La società, maggioranza per definizione, presume di avere altre opzioni che non leggere versi, per quanto ben scritti. Ma se trascura di leggere versi rischia di scivolare a quel livello di eloquio al quale una società diventa facile preda di un demagogo o di un tiranno. Questo è, per la società, l’equivalente dell’oblio: un tiranno, naturalmente, può tentare di salvare i propri sudditi con qualche spettacolare bagno di sangue.”
(Iosif Brodskij, “Fuga da Bisanzio”, ed. Adelphi)

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“Il tempo della malafede e altri scritti” (Nicola Chiaromonte)

munch

“Vivere in una società di massa significa compiere automaticamente e per la maggior parte del tempo degli atti non liberi, facendo quel che si fa non perché sia naturale e neppure perché lo si ritenga positivamente utile, ma piuttosto per evitare le complicazioni e i mali che verrebbero (a sé e agli altri) dall’agire diversamente. Per il singolo individuo, ciò può essere più o meno penoso: i vantaggi che riceverà dal cedere alle esigenze collettive anziché resistervi potranno cioè essere più o meno grandi. Dal punto di vista della coscienza, però, quel che importa è che egli si sente soggetto a una forza maggiore la quale non deriva né da una norma morale, né dalla somma delle esigenze individuali, bensì semplicemente dal fatto dell’esistenza collettiva. È l’esperienza di un disordine retto da leggi di ferro.
È naturale che l’individuo, in una folla, conti solo come unità nel numero, per quello che ha di più strettamente e materialmente comune con gli altri; ma è anche una costrizione grave, perché un individuo può apparire come una semplice unità fisica solo se visto dal difuori: dal suo punto di vista, egli non può fare a meno di sentirsi il centro mobile e libero di una rete di rapporti vitali che riguardano non solo i propri simili, ma anche il mondo nel suo insieme e, nel mondo, il significato della propria esistenza. Ora le condizioni molteplici della società di massa hanno questo in comune, che in esse il punto di vista proprio dell’individuo si trova regolarmente represso e ricacciato nel fondo. Di qui, insieme alla passività inevitabile, un’esperienza di privazione e di tensione penosa; la mancanza di posto coinvolge la vita morale.”
(Nicola Chiaromonte, “La situazione di massa e i valori nobili”, in “Il tempo della malafede e altri scritti”, edizioni dell’asino)
Opera: “Sera sul viale Karl Johann”, Edvard Munch.

chiaromonte

“Sulla stupidità” (Robert Musil)

stupidità

“Sia per paura di apparire stupidi, sia per paura di offendere la buona creanza, molti si considerano intelligenti, però non lo dicono. E se proprio si sentono costretti a parlare, usano perifrasi e dicono ad esempio: «Non sono più stupido di altri». Ancora più in voga è introdurre nel discorso, con il tono più distaccato e obiettivo possibile, la considerazione: «Posso ben dire di possedere un’intelligenza normale». E talvolta la convinzione di essere intelligente fa la sua comparsa di straforo, come nella locuzione: «Non mi faranno passare per stupido!».
Tanto più degno di nota è il fatto che non è solo il singolo individuo, nel segreto dei suoi pensieri, a considerarsi intelligente e straordinariamente dotato, ma è anche l’uomo che agisce nella storia e fa dire di sé, non appena ne ha il potere, che è oltre ogni misura saggio, illuminato, nobile, eminente, misericordioso, eletto da Dio e predestinato a segnare nella storia un’orma incancellabile. E lo dice volentieri anche di un altro, qualora si senta illuminato dal riflesso di costui. In titoli e appellativi come Maestà, Eminenza, Eccellenza, Vostra Magnificenza, Vostra Grazia, tutto ciò si è conservato in uno stato di fossilizzazione e non è praticamente più ravvivato dal soffio della coscienza: ma si manifesta di nuovo e immediatamente in tutta la sua vitalità quando l’uomo, oggi, parla come massa. Una condizione medio-bassa dello spirito e dell’anima si abbandona del tutto spudoratamente alla sua presunzione, non appena può presentarsi sotto la tutela del partito, della nazione, della setta o della corrente artistica, e può dire «noi» invece di «io».”
(Robert Musil, “Sulla stupidità”, ed.SE)

“Non si può fare di un popolo un solo individuo”

“La disposizione mentale a considerare gli uomini collettivamente, a caratterizzarli e giudicarli in blocco, è oltremodo diffusa. Caratteristiche di tal genere – ad esempio dei tedeschi, dei russi, degli inglesi – non riguardano mai concetti di genere sotto i quali possano venire sussunti i singoli uomini, ma indicano solamente il tipo, a cui essi possono più o meno corrispondere. Questa confusione tra una concezione basata sui generi e una basata sulle tipologie è il segno del pensare in base a una collettività: i tedeschi, gli inglesi, i norvegesi, gli ebrei – e così via: i frisi, i bavaresi – oppure gli uomini, le donne, i giovani, i vecchi. Il fatto che grazie alla concezione tipologica si viene pure a cogliere qualche cosa di vero, non deve farci credere di aver compreso in tutto e per tutto il singolo individuo, quando lo consideriamo designato da quelle caratteristiche generali. Questa è una forma mentale che, attraverso secoli, si trascina come un mezzo per determinare l’odio reciproco tra i popoli e i gruppi umani. Questa forma mentale, che dai più viene considerata purtroppo come ovvia e naturale, i nazionalsocialisti l’hanno applicata nella maniera peggiore e attraverso la loro propaganda l’hanno fatta entrare nelle teste quasi a martellate. Era come se non ci fossero più uomini, ma soltanto appunto quelle collettività.

Non c’è mai un popolo che sia un tutto unico. Tutte le delimitazioni che noi operiamo per poterlo determinare, vengono sorpassate nel campo dei fatti. La lingua, la nazionalità, la cultura, i destini comuni, tutte queste sono cose che non collimano, ma si intersecano. Un popolo e uno stato non coincidono, e nemmeno lingua e destini comuni e cultura.

Non si può fare di un popolo un solo individuo.”

(Karl Jaspers, “La questione della colpa”, 1946)

“L’Unico e la sua proprietà” (Max Stirner)

L'unico

Ti devo fare una confessione – cominciò Ivàn. – Non sono mai riuscito a capire come si possa amare il prossimo. Sono proprio le persone vicine che, secondo me, è impossibile amare; se mai è più facile amare quelle lontane. Ho letto, non so più né quando né dove, che una volta “Giovanni il misericordioso”* (un santo), siccome gli si presentò un uomo affamato e pieno di freddo che lo pregò di farlo riscaldare, si mise nel letto insieme con lui, lo abbracciò, e cominciò a soffiargli il fiato caldo nella bocca, che era marcia e puzzolente per via di un male orribile. Io sono convinto che lo fece con gran pena, col tormento di dover mentire, perché il dovere gli ordinava di amare e perché si era imposto una penitenza. Per amare un uomo bisogna che quello si nasconda, ma appena tira fuori il viso l’amore svanisce.

(Fëdor Dostoevskij, “I fratelli Karamazov”).

Ho scelto di aprire quest’articolo su “L’unico e la sua proprietà” di Stirner perché mi pare che le parole tratte dal capolavoro di Dostoevskij possano rappresentare una chiave interpretativa possibile nell’approcciarsi a questo testo ostico e sul quale non è facile scrivere. Sono stato molto titubante, infatti, circa l’eventualità di stilare queste mie impressioni, considerata la difficoltà che ho nel discernere tra ciò che dell’opera di Stirner può essermi utile e ciò che ritengo doveroso accantonare. Il saggio filosofico non è complicato sotto il profilo letterale, né pesante, anzi, la lettura, almeno fino a metà, risulta gradevole, salvo poi diventare un po’ ripetitiva nella seconda parte. Lo stile è brillante, Stirner è sarcastico, dissacrante.

Il fatto è che Stirner, più ancora di ogni altro genere di testo che possa passarci tra le mani, si presta ad appropriazioni e interpretazioni persino opposte tra loro, a seconda che se ne voglia sottolineare un aspetto o un altro. Continua a leggere…

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