“La disposizione mentale a considerare gli uomini collettivamente, a caratterizzarli e giudicarli in blocco, è oltremodo diffusa. Caratteristiche di tal genere – ad esempio dei tedeschi, dei russi, degli inglesi – non riguardano mai concetti di genere sotto i quali possano venire sussunti i singoli uomini, ma indicano solamente il tipo, a cui essi possono più o meno corrispondere. Questa confusione tra una concezione basata sui generi e una basata sulle tipologie è il segno del pensare in base a una collettività: i tedeschi, gli inglesi, i norvegesi, gli ebrei – e così via: i frisi, i bavaresi – oppure gli uomini, le donne, i giovani, i vecchi. Il fatto che grazie alla concezione tipologica si viene pure a cogliere qualche cosa di vero, non deve farci credere di aver compreso in tutto e per tutto il singolo individuo, quando lo consideriamo designato da quelle caratteristiche generali. Questa è una forma mentale che, attraverso secoli, si trascina come un mezzo per determinare l’odio reciproco tra i popoli e i gruppi umani. Questa forma mentale, che dai più viene considerata purtroppo come ovvia e naturale, i nazionalsocialisti l’hanno applicata nella maniera peggiore e attraverso la loro propaganda l’hanno fatta entrare nelle teste quasi a martellate. Era come se non ci fossero più uomini, ma soltanto appunto quelle collettività.
Non c’è mai un popolo che sia un tutto unico. Tutte le delimitazioni che noi operiamo per poterlo determinare, vengono sorpassate nel campo dei fatti. La lingua, la nazionalità, la cultura, i destini comuni, tutte queste sono cose che non collimano, ma si intersecano. Un popolo e uno stato non coincidono, e nemmeno lingua e destini comuni e cultura.
Non si può fare di un popolo un solo individuo.”
(Karl Jaspers, “La questione della colpa”, 1946)
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