“Il colpo di scena ha fatto il suo tempo” (da “Frammenti da un camino”, n. 17)
– Dovresti trovare una trama, svilupparla, ma soprattutto descrivere l’apatia che ci tiene prigionieri di noi stessi, questa sorta di disincanto, questa condizione d’irresolutezza colpevole, che sentiamo essere contraria al nostro vivere ma che non contrastiamo abbastanza.
– Non è facile, sai. Tutto ciò che ho provato a scrivere finora mi appare come un vuoto esercizio di vanità, niente che abbia la valenza, la profondità di uno scritto vero, di quelli che non puoi fare a meno di tirare fuori da te perché ti soffocherebbe. Mi sembra, nel rileggermi, che in me non ci sia tutto questo, ma piuttosto che la scrittura sia un modo per guardare altrove, non per guardarmi dentro. Registro banali pensieri di superficie, ma ancora non affondo, non affronto a viso aperto i miei lati più oscuri.
– O quelli più luminosi. Ci fanno paura, gli estremi, potrebbero scardinare presunte certezze che da anni ci portiamo dietro. Quindi restiamo così, a crogiolarci nelle nostre abitudinarie teorie, fingendo slanci creativi che però restano a mezz’aria. Siamo attaccati alle nostre radici, forse è inevitabile che sia così. Però non possiamo continuare a lamentarci reciprocamente che tutto non va, se noi per primi non cerchiamo un modo per scappare da qui, per non morire dove siamo nati.
– Siamo banali, lo sai, lo siamo noi più di tutti, perché sappiamo e non reagiamo. Aspettiamo chissà cosa, la famosa scintilla o ispirazione che un giorno farà di noi uno scrittore o un filosofo, o un cantante, un regista, chissà quale altra strana forma di vita alla quale pensiamo di poter assurgere. Eppure non siamo più adolescenti, Continua a leggere…