Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

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“Questo è il re” (da “Ricerche filosofiche” di Wittgenstein)

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(Wittgenstein mi perdoni, ma propongo, a chi voglia, un “gioco linguistico” casareccio. Si provi a sostituire alla parola “re” la parola “cuore”, o simili, e alla parola “scacchi” la parola “amore” o “disamore”, a seconda del proprio momento. Se ne deducano i risultati eventuali. Poi, per carità, si torni a una lettura più confacente allo spirito originario dell’autore)

Mostrando a qualcuno il pezzo che rappresenta il re nel giuoco degli scacchi e dicendogli: << Questo è il re >>, non gli si spiega l’uso di questo pezzo – a meno che l’altro non conosca già le regole degli scacchi tranne quest’ultima determinazione. Si può immaginare che abbia imparato le regole del giuoco senza che gli venisse mai mostrato un vero pezzo per giocare. In questo caso la forma del pezzo corrisponde al suono o alla configurazione di una parola.

Ma si può anche immaginare che qualcuno abbia imparato il giuoco senza mai apprendere regole, o senza formularle. Per esempio, può darsi che dapprima abbia imparato, osservandoli, giuochi da scacchiera estremamente semplici e sia poi progredito a giuochi sempre più complicati. Anche a costui si potrebbe dare la definizione: << Questo è il re >> – per esempio mostrandogli alcuni pezzi da scacchi di forma a lui inconsueta. Anche questa definizione gli insegna l’uso della figura solo in quanto, potremmo dire, il posto in cui essa andava inserita era già preparato. Oppure anche: Diremo che questa definizione gli insegna l’uso, soltanto nel caso in cui il posto è già preparato. E in questo caso lo è, non perché quello a cui si dà la definizione sappia già le regole del giuoco, ma perché, in un altro senso, è già padrone di un giuoco. Continua a leggere…

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Il “mio” Wittgenstein

Witt

Quando si è a corto di argomenti, oltre a tacere (che sarebbe l’opzione preferibile, peraltro auspicata nel finale dell’opera che segue qui sotto), si può fare ricorso a qualcosa che si è scritto tempo addietro, con tutti i rischi che ciò comporta. Nello specifico, pubblico di seguito due pseudo-recensioni che scrissi prima di aprire questo blog e che, quindi, alla pari di grandi romanzi, non hanno trovato spazio “quassù”, se non all’interno della sezione “Letteratura”, che per ovvi motivi e comprensibili ha meno visite rispetto agli articoli quotidiani. L’argomento è Ludwig Wittgenstein, il mio Wittgenstein, quello che ho apprezzato da lettore appassionato, non da studioso o esperto. Aggiungo che rileggere i miei stessi articoli, a distanza di tempo, mi ha un po’ stranito, oltre che fatto dubitare (fortemente) di avere scritto cazzate. Comunque, tant’è, ecco il mio Wittgenstein.

TRACTATUS LOGICO-PHILOSOPHICUS

“Questo libro, forse, lo comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi – o almeno, pensieri simili – . Esso non è, dunque, un manuale – . Conseguirebbe il suo fine se procurasse piacere ad almeno uno che lo legga comprendendolo.

Il libro tratta i problemi filosofici e mostra – credo – che la formulazione di questi problemi si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio. Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole: Tutto ciò che può essere detto si può dire chiaramente; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”.

(Ludwig Wittgenstein, prefazione al “Tractatus logico – philosophicus”, ed. Einaudi)

Dovrei tacere e rimandare gli interessati alla lettura del libro, Continua a leggere…

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