Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

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“Milena” (n. 27, da “Frammenti da un camino”)

Aveva resistito pressoché a tutti gli urti dell’esistenza, quel giorno, persino alle stridule grida degli infanti sulla metropolitana. Si sentiva quasi serena al momento di coricarsi, sebbene presentisse la pericolosità di quel ‘quasi’. S’immerse nei sogni, al solito deliranti ed evocativi. Al risveglio l’aspettava un’odiosa pratica burocratica all’Università, perciò aveva pianificato di alzarsi alle 6:00.

Tre ore prima, però, nel cuore della notte, uno squillo mai così fastidioso la destò di soprassalto. Era lui, dopo due mesi. Guardava lo schermo del telefono e si chiedeva se rispondere o meno, sperando sia che quel trillo finisse sia che, per magia, fosse l’altro a dire la prima parola. Voleva resistere, ma anche cedere. Aveva paura del groviglio che la voce dell’uomo avrebbe potuto riaccendere. Dopo un paio d’interminabili minuti, il silenzio tornò nella stanza. Non aveva risposto, aveva mantenuto fede al proposito di sparire, di allontanare colui che si era inserito nella sua vita otto mesi prima, sconvolgendola. Si alzò per sciacquarsi la faccia, pur avendo l’intenzione di tornare a letto. Sì, era stata forte, si disse.

Eppure, perché già si stava domandando cosa volesse dirle? Perché aveva voglia di raggiungerlo ovunque egli fosse? Perché, pur sapendo che si sarebbe schiantata nuovamente, aveva voglia proprio di schiantarsi?

La mente di Milena sembrava un labirinto senza scampo, riconducente sempre a un unico, lancinante centro, laddove si stagliava, minacciosa, la glaciale statua di Arturo: postura virile, sguardo annichilente e, benché di solito le statue stessero zitte, quella voce, opportunamente censurata al telefono, ma che pure rimbombava in lei.

Nel corso dei mesi, a colpirla era stata la pacatezza della loquela di Arturo, talvolta quasi spettrale nella cadenza, eppure tutt’altro che noiosa. Le sembrava che lui parlasse con lentezza perché voleva ponderare il peso di ogni parola, e alla lunga ciò li aveva condotti dapprima a un complicità anche lessicale, poi a una logorante battaglia di nervi e sillabe. Al primo impatto, in realtà, anche la voce aveva fomentato l’istintiva antipatia che Arturo le aveva suscitato, quando in libreria, avvolto in un’eleganza a metà tra un ricevimento nuziale e un funerale, le aveva chiesto un testo di Montale e, con alterigia, aveva mostrato un risentimento quasi personale verso Milena che, in quei giorni sorridente più per dovere professionale che per convinzione interiore, gli aveva detto che non era disponibile e avrebbe dovuto ordinarlo. La risata sarcastica con il quale lui aveva infine asserito che sarebbe andato a cercarlo in un’altra libreria, “magari meglio fornita”, avvampò nello stomaco di Milena, già provata dagli screzi con Marco, il compagno che in quei giorni stava mettendo a dura prova la sua ormai quinquennale pazienza, così che la ragazza, indossando a sua volta un sorriso forzato, resistette alla tentazione di scaraventargli addosso un intero scaffale.

(Per gli altri “Frammenti da un camino”, recarsi sadomasochisticamente nell’apposita sezione)

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Irradiano “completezza”

Ci sono persone che irradiano “completezza”, che tu le vedi, fai il confronto e sul momento ne esci a pezzi, ma non perché invidi la loro donna, la loro posizione sociale, l’automobile, il denaro, no, non per questo, o forse sì, anche per questo (per quanto t’inorridisca ammetterlo), ma principalmente per quell’aria di “completezza”, che poi non è proprio “completezza” e non neanche “compiutezza”, forse è “sicurezza” oppure non è proprio una cosa che finisce con “ezza”, magari è qualcosa che finisce con “tà”, tipo “felicità” o almeno “serenità”, o neanche questo, è un qualcosa che non sai definire e non lo sai fare perché il più delle volte è solo una tua “fantasia”.
Il fatto è che sul momento questa gente ti appare aver compreso qualcosa sull’esistenza che tu non hai mai capito e mai capirai, e non è solo merito della barba e dei baffi ben curati, benché (o poiché) brizzolati. Il fatto è che loro irradiano e tu no. Tu sei incompleto, incompiuto, insicuro, non hai ben chiaro i concetti di “felicità” e “serenità” e tante altre cose. Il confronto è impietoso.
Però poi accade che tu cadi addormentato e tutto ciò non è più vero. Accade che ti risvegli al mattino e leggi sul giornale (stai mentendo, il giornale non lo leggi più da anni) o su qualche pagina virtuale, o dove vuoi e puoi, leggi che quel tipo non era proprio così compiuto, completo, sicuro, felice, sereno, leggi che ha comprato una pistola ad acqua perché voleva annaffiare amici e nemici, oppure che si è gettato nel water per suicidarsi ma è stato salvato dai gatti, o infine che ha scritto un romanzo, o peggio fondato un movimento politico perché voleva “dare un senso pubblico alla sofferenza privata”, e allora capisci che non è proprio come pensavi, capisci o hai conferma che non è vero che ti manca una donna, una macchina, il denaro o soprattutto quei baffi brizzolati e ben curati (sì, vabbè, qualcosa tra queste può mancarti, ma son dettagli), quello che ti manca davvero sono un letto e un cuscino sui quali poterti stendere ed estendere per ventiquattro ore al giorno.
Perché lì, tu lo sai da sempre, non temi nessuno. Neanche te stesso.

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