Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

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“Molti matrimoni” (Sherwood Anderson)

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“Chi cerca l’amore e va verso di esso impulsivamente, senza tenere conto della complessità della vita moderna è, se non un pazzo, almeno un temerario.

Non avete mai vissuto un momento nel quale fare ciò che in altri momenti risulta il più semplice e naturale degli atti, diventa improvvisamente un’impresa titanica?

Siete nella stanza d’ingresso di una casa. Di fronte a voi c’è una porta chiusa e, dietro la porta, seduto o seduta in una poltrona vicino alla finestra, c’è un uomo o forse una donna.

È il tardo pomeriggio d’un giorno d’estate, e avete deciso di avvicinarvi alla porta, di aprirla e dire:

– Non intendo più continuare a vivere in questa casa. Il mio baule è pronto e fra un’ora un uomo, al quale già ho dato l’ordine, verrà a prenderlo. Sono qui soltanto per dirti che non posso più continuare a vivere con te.

Siete dunque nell’ingresso, e tutto ciò che dovete fare è entrare nella stanza e dire queste poche parole. La casa è silenziosa e voi rimanete a lungo nell’anticamera, timoroso, esitante, senza aprire bocca. Lentamente vi rendete conto che siete giunti fino a lì in punta di piedi.

Per voi e per la persona che si trova dietro la porta è assolutamente consigliabile non continuare a vivere nella stessa casa. Questo dovreste dichiarare, ma probabilmente avete perso il buon senso. Perché non siete in grado di parlare giudiziosamente?

Perché vi riesce così difficile fare quei tre passi verso la porta? Le vostre gambe sono ancora in uno stato eccellente. Perché i vostri piedi sono tanto pesanti?

Siete un uomo giovane. Perché le vostre mani tremano come quelle di un vecchio?

Siete sempre stato convinto di essere un uomo coraggioso. Perché improvvisamente vi siete trasformato in una creatura debole e vile?

È divertente o è tragico sapere che non osate andare verso la porta, aprirla, ed entrando dire quelle poche parole senza che la vostra voce cominci a tremare?

Siete ancora in grado di controllarvi o siete praticamente come un pazzo? Perché quella ridda di pensieri circola senza tregua nel vostro cervello? Una ridda di pensieri che, mentre siete lì esitante, vi trascina già verso un abisso senza fine?

(Sherwood Anderson, “Molti matrimoni”, Robin edizioni) 

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“Disturbo della quiete pubblica” (Richard Yates)

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“Per Janice Wilder le cose cominciarono ad andare storte nella tarda estate del 1960. E il peggio, come non fece che ripetere in seguito, il lato più orribile della faccenda è che tutto parve capitare senza il minimo segno premonitore.

Aveva trentaquattro anni e un figlio di dieci. Non la seccava il fatto che la sua gioventù stesse svanendo – non era stata comunque una gioventù avventurosa, né priva di preoccupazioni – e, se il matrimonio era stato per lei più un modo per sistemarsi che una storia d’amore, anche questo le stava bene così. Nessuno ha una vita perfetta. Le piaceva lo svolgersi ordinato delle sue giornate, le piacevano i libri, che possedeva in gran quantità, e le piaceva anche il suo appartamento alto e luminoso, con vista sui grattacieli di Manhattan. Non era certo lussuoso o elegante, ma era un appartamento comodo; e comodo era una delle parole preferite da Janice Wilder. Le piaceva anche la parola civile, e ragionevole e sistemazione e rapporto. Erano poche le cose che la sconvolgevano o la spaventavano; le uniche a riuscirci, al punto di farle gelare il sangue, erano le cose che non capiva.

– Non capisco, – disse al marito per telefono. – Come sarebbe a dire, che ‘non puoi’ tornare a casa?”

(Richard Yates, “Disturbo della quiete pubblica”,  ed. Beat)  

Le storie narrate da Richard Yates, che siano contenute in un romanzo stupendo come “Revolutionary Road”, in un altro quale “Easter Parade”  o in raccolte di racconti (“Undici solitudini”, “Bugiardi e innamorati”) hanno come protagonisti principali personaggi deboli, insicuri, vittime delle proprie velleità e successive disillusioni, incapaci di scappare da una realtà o di costruirsene una che abbia una qualche coerenza, il più delle volte devastati dall’amore o da qualcosa di affine.

“Disturbo della quiete pubblica” è la progressiva ed inesorabile caduta nell’alcolismo e nella follia di John Wilder, trentaseienne all’inizio del romanzo, che lavora presso un’agenzia pubblicitaria ma avrebbe l’aspirazione di diventare un produttore cinematografico. Vittima di un improvviso crollo psichico, John trascorre alcuni giorni in una clinica, poi ne esce all’apparenza pronto a riprendere la sua vita, con l’aiuto della moglie Janice, del piccolo Tommy e dell’avvocato e amico Paul. Le cose, però, non vanno per il verso “giusto” e John si lascia sprofondare nella perdizione, a nulla valendo anche una relazione extraconiugale che, anzi, complica tutto. Persiste, nei sempre più rari momenti di lucidità (o forse è il contrario?), la volontà di trasfigurare persino la sua esperienza in clinica, attraverso la stesura di una sceneggiatura per il cinema.

La scrittura di Yates è incisiva, mai pedante o retorica nel trattare temi piuttosto “a rischio”, e non priva di slanci tragicomici. “Disturbo della quiete pubblica” non è il libro di Yates che consiglierei per primo, perché a mio parere ha scritto testi più efficaci, però resta comunque, a mio parere, una lettura appagante.

“Fuga nelle tenebre” (Arthur Schnitzler)

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“Improvvisamente sentì nascere in lui un’angoscia da mozzare il respiro, un’angoscia del tutto nuova, che pure era sempre la stessa. Perché ad un tratto gli era venuta in mente la lettera? Che significato poteva avere ormai quella lettera? Essa poteva valere solo in un determinato caso; un caso inesistente, che non poteva mai più verificarsi. Non era pazzo; era sano. Ma a cosa gli serviva se gli altri lo ritenevano pazzo? A cosa gli serviva se alla fine lo stesso fratello lo avesse considerato pazzo? Non poteva accadere che un occhio turbato scambiasse proprio quella meravigliosa trasformazione della sua condizione di spirito, quel senso di euforia e di rilassatezza, quella serenità della sua natura, per i primi sintomi di una incipiente malattia mentale? Solo pochi giorni prima Marianne gli aveva manifestato la sua crescente preoccupazione per l’aspetto pallido e affaticato del marito; e quando Robert, in seguito a quel colloquio, aveva osato dare a Otto qualche fraterno consiglio, era rimasto colpito dal tono esageratamente eccitato, quasi sgarbato con cui il fratello gli aveva risposto, e ora gli sembrò addirittura di ricordare che negli ultimi tempi l’andatura e il portamento di Otto avevano subito una singolare trasformazione. E se fosse più malato di me, pensò Robert. Se fosse lui il malato – lui soltanto?”

(Arthur Schnitzler, “Fuga nelle tenebre”, ed. Adelphi)

Arthur Schnitzler non mi ha deluso nemmeno stavolta, “Fuga nelle tenebre” mi ha confermato che si tratta di un autore che per troppo tempo avevo associato solo a “Doppio sogno”. Le più recenti letture dei suoi libri, quali ad esempio “Il ritorno di Casanova”, “Morire” e “Il sottotenente Gustl”, mi avevano fatto apprezzare le sue qualità di fine indagatore della psiche umana, apprezzate anche da Freud.

“Fuga nelle tenebre” è la descrizione di una lenta ma inesorabile discesa negli abissi da parte di un uomo, Continua a leggere…

“Le libere donne di Magliano” (Mario Tobino)

tobino“Mi è passato come un uragano di dolore. Ora volo serenamente e sorrido, ma fino a pochi minuti fa, arrotolato nel letto, invocavo mia madre; avevo la testa che mi martellava, tutto intorno, di immagini spietate di solitudini, di volti e di sentimenti di matti, di deliri che divengono cosa fisica.
Era come fossi circondato e mi fosse vicino il ghiaccio, io con nessuna altra forza che gemere.
È stata forse quella donna, quella malata che si chiama Leonori, una ultra fiorente donna bionda, esuberante e prepotente; essa da diversi giorni era garbata, accondiscendeva con dolcezza ad aiutare ogni servizio del reparto, sembrava (benché un po’ di sospetto mi rimaneva) che avesse abbandonato la violenza per la quale fino ad allora era da tutti temuta; addirittura come una monaca senza peccato accudiva con ogni pietà un’altra malata bizzosissima. E stamani ho letto una sua lettera diretta al marito dove le parole dichiaravano il suo animo che brama violenza e omicidio. Continua a leggere…

“Follia” (Patrick McGrath)

follia-adelphi

“Le storie d’amore catastrofiche contraddistinte da ossessione sessuale sono un mio interesse professionale da ormai molti anni. Si tratta di relazioni la cui durata e la cui intensità differiscono sensibilmente, ma che tendono ad attraversare fasi molto simili: riconoscimento, identificazione, organizzazione, struttura, complicazione, e così via. La storia di Stella Raphael è una delle più tristi che io conosca. Stella era una donna profondamente frustrata, che subì le prevedibili conseguenze di una lunga negazione e crollò di fronte a una tentazione improvvisa e soverchiante. Come se non bastasse, era una romantica. Traspose la sua esperienza con Edgar Stark sul piano del melodramma, facendone la storia di due amanti maledetti che sfidano il disprezzo del mondo in nome di una passione. È stata una vicenda il cui corso ha distrutto quattro vite, Continua a leggere…

“Per le antiche scale” (Mario Tobino)

Mario Tobino, Per le antiche scale

“A quel tempo la follia non era ovattata, dissimulata, intontita, mascherata, camuffata come oggi con gli psicofarmaci. La follia esplodeva uguale a un vulcano. Nei cameroni – nudi o malamente coperti da una camicia sdrucita – urlavano i matti, in parte legati con le cinghie ai braccioli del letto. Le risse tra loro frequenti, le aggressioni agli infermieri giornaliere. Le pareti squallide, color dell’osso morto; i tavoli inchiodati al pavimento; le finestre con le sbarre, le porte chiuse a tre mandate. Nel silenzio della notte arrivavano i lamenti, le sorde imprecazioni, i suoni di bestiale disperazione. Così dalla parte degli uomini, e ugualmente nella divisione femminile; da questa in più gemeva la miseria del sesso. Tutto era carcere”.

(Mario Tobino, “Per le antiche scale”)

Mario Tobino, oltre che scrittore, fu anche medico psichiatra e “Per le antiche scale” (1972) è un romanzo che, alla pari di “Le libere donne di Magliano”, risente della sua esperienza nei manicomi, prima che la legge Basaglia ne decretasse la chiusura. In chiusura del libro, Tobino scrive: “A teatro di questo libro è stato scelto il manicomio e la campagna lucchese esclusivamente per le ragioni dell’arte; l’autore infatti ci vive da più di trent’anni. Le storie però che qui sono narrate non sono mai avvenute, e i nomi e le persone mai esistite. Il manicomio di Lucca non entra per nulla in queste vicende. In questo libro, se un colpevole c’è, è la fantasia, ammettendo che abbia avuto le ali”. La precisazione dell’autore è comprensibile, Continua a leggere…

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