“Tra donne sole” (Cesare Pavese)
“- Non per sapere i fatti tuoi, – disse guardandomi, – ma se tu ti sposassi, vorresti fare dei figli?
– Tu ne hai fatti? – dissi ridendo. – La gente si sposa per questo.
Ma lei non rise. – Chi fa figli, – disse fissando il bicchiere, – accetta la vita. Tu l’accetti la vita?
– Se uno vive l’accetta, – dissi, – no? I figli non cambiano la questione.
– Però non ne hai fatti… – disse alzando la faccia del bicchiere e scrutandomi.
– I figli sono grossi pasticci, – disse Morelli, – ma le donne ci tengono tutte.
– Noi no, – disse Momina, di scatto.
– Ho sempre visto che chi non ha voluto figli, gli toccano quelli degli altri…
– Non è questo, – lo interruppe Monina. – La questione è che una donna se fa un figlio non è più lei. Deve accettare tante cose, deve dire di sì. E vale la pena di dir di sì?
– Clelia non vuol dir di sì, – disse Morelli.
Allora dissi che discutere di queste cose non aveva senso, perché a tutti piacerebbe un bambino ma non sempre si può fare come si vuole. Chi vuol fare un bambino lo faccia, ma bisogna stare attenti a provvedergli prima una casa, dei mezzi, ché non abbia poi a maledire sua madre.
Momina, che aveva acceso una sigaretta , mi squadrò con gli occhi socchiusi nel fumo. Tornò a chiedermi se accettavo la vita. Disse che per fare un figlio bisognava portarselo dentro, diventare come cagne, sanguinare e morire – dir di sì a tante cose. Questo voleva sapere. Se accettavo la vita.
– Adesso smettetela, – disse Morelli, – nessuna di voi è incinta.”
(Cesare Pavese, “Tra donne sole”, ed. Einaudi)
In una lettera datata 27 luglio 1949, riportata all’inizio dell’edizione Einaudi che ho letto, il grande Italo Calvino, legato a Cesare Pavese da un rapporto di profonda stima reciproca, chiamato dal più maturo scrittore a scrivergli le proprie impressioni su “Tra donne sole”, non lesinava critiche: “Tra donne sole è un romanzo che ho subito deciso che non mi sarebbe piaciuto. Sono ancora di tale opinione, sebbene l’abbia letto con grande interesse e divertimento… è un certo modo di vedere le donne, e di trarne vendetta allegra o triste. E la cosa che scombussola di più è quella donna-cavallo pelosa, con la voce cavernosa e l’alito che sa di pipa e fin dal principio si capisce che sei tu con la parrucca e con i seni finti… quel che non mi convince è, e già altre volte ho avuto occasione di dirtelo, la tua rappresentazione dei borghesi… per scrivere bene del mondo elegante bisogna conoscerlo e soffrirlo fino alle midolla come Proust, Radiguet e Fitzgerald, amarlo e odiarlo non importa, ma aver chiara la propria posizione rispetto ad esso. Tu non l’hai chiara: si scopre dall’insistenza con cui ritorni sul tema, che non è vero che te ne infischi, ma non hai, mi sembra, fatto ancora la scoperta del piglio che devi prendere rappresentando la gente chic…”. Pavese, due giorni dopo, gli rispose con uguale franchezza: “Applichi due schemi, come due occhiali, al libro e ne cavi impressioni discordanti che non ti curi di comporre”. Continua a leggere…