Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

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“La corte del diavolo” (Ivo Andrič)

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“Qui arrivano e di qui passano tutti coloro che quotidianamente vengono fermati e arrestati in questa grande e popolosa città, per aver commesso un reato o per essere sospettati di averlo commesso, e in città di reati se ne commettono davvero tanti e di ogni genere, e il sospetto giunge lontano e si diffonde in lungo e largo. Questo perché la polizia di Costantinopoli si attiene al sacro principio che è più facile rilasciare un innocente dalla Corte del diavolo che non ricercare un colpevole nei meandri di Costantinopoli. Qui viene compiuta la grande e lenta selezione degli arrestati. Alcuni vengono interrogati in vista del processo, altri vi scontano la loro breve pena o, se si constata che non sono colpevoli, vengono rilasciati, altri infine sono mandati in esilio in province lontane. È anche un grande serbatoio da cui la polizia trae falsi testimoni, «esche» e provocatori per i propri scopi. In questo modo la Corte setaccia senza sosta la massa variopinta dei suoi abitanti, è sempre piena, si svuota e si riempie in continuazione.”
(Ivo Andrič, “La corte del diavolo”, ed. Adelphi)
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“I tempi di Anika e altri racconti” (Ivo Andrić)

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(Anche nei racconti Andrić conferma le grandi qualità mostrate nello stupendo romanzo “Il ponte sulla Drina”.)

“Mihailo fissò quegli occhi, abbagliato ed incredulo, convinto che quello sguardo avrebbe mutato espressione oppure che sarebbe scomparso come una visione o un’allucinazione. Lo sguardo di Anika, al contrario, si fece sempre più aspro e lucente, ed il suo fulgore sempre più vivace ed intenso. Egli cercò di opporsi al pensiero che in quel momento balenò in lui acquistando un contorno sempre più ben definito, si dominò per non gridarlo a voce alta, al solo scopo di espellerlo da sé: era quello lo sguardo ben noto che aveva visto già una volta, nella locanda, e che poi aveva sognato diverse volte, infelice e tormentato dai sogni più terribili. Era Krstinica che lo guardava, col suo sguardo belluino carico di propositi sconosciuti dai quali bisognava fuggire via, benché non si potesse mai scappare abbastanza lontano. Mihailo esercitò su se stesso disperati e fulminei tentativi per ridestarsi, per far scomparire quegli occhi emettendo un rauco grido che lo scotesse bruscamente, così come aveva fatto parecchie volte sui suoi sudati giacigli, per capanne e taverne incontrate lungo la strada. Ma quegli occhi non si scostarono, e continuarono a brillare davanti a lui immutati ed immobili. E, mentre lottava dentro di sé, restando incerto tra il sogno e la realtà, gli sembrava di udire incessantemente la voce di Anika:
– Lo credi proprio?
Questa frase si ripeteva in lui come un rimbombo centuplicato, benché la ragazza l’avesse pronunciata una sola volta.”
(Ivo Andrić, “I tempi di Anika e altri racconti”, ed. Bompiani)

“La storia dell’aiducco e altri racconti” (Ivo Andrić)

La storia dell'aiducco

“I passi d’uomo, ogni fatica d’uomo erano completamente vani, impotenti; non aveva importanza camminare avanti o indietro o segnare il passo. E succedeva, di tanto in tanto, che uno dei deportati si fermasse di colpo, senza dare voce, senza preavvertire: si verificavano allora scontri, scivoloni, accompagnati dalle proteste e dalle grida soffocate degli altri uomini della catena. Allora anche i soldati si fermavano senza che nessuno dicesse loro di farlo. Il riposo imprevisto e non prescritto si imponeva da solo e bisognava fermarsi almeno dieci minuti. Ma che significato aveva il riposo in un viaggio come quello? Salite e discese si susseguivano come due fasi di uno stesso martirio; la sete aumentava; gli uomini incatenati cadevano e brancolavano come ubriachi, ubriachi di quel dolore interno che bruciava in ognuno di loro. La caduta, la rabbia, il dolore e il profondo, intimo sentimento dell’ingiustizia subita erano tali in ognuno da dar loro a tratti, veramente, l’aspetto di ubriachi, di uomini in delirio. Ogni tanto qualcuno, con un gesto inatteso, si passava la mano sulla faccia, come chi invano cerchi di concentrarsi, di riprendere i sensi e di comprendere quello che gli sta succedendo; oppure pronunciava qualche parola senza significato che, evidentemente, apparteneva a un discorso intimo che per errore attraversava le labbra. di tanto in tanto qualcuno vacillava ed era sul punto di cadere”

(Ivo Andrić, da “La storia dell’aiducco e altri racconti”, Gremese Editore)

Ivo Andrić era da anni nella lista degli autori che volevo leggere, nello specifico avevo segnato il suo romanzo “Il ponte sulla Drina”. Non ricordo quando m’imbattei per la prima volta in lui, certo fu perché citato da qualche autore che godeva della mia stima. Quel libro non l’ho ancora letto, ma in compenso mi sono avvicinato ad Andrić con la lettura di “La storia dell’aiducco e altri racconti”, un volume edito da “Gremese Editore” e che comprai da un rivenditore di libri usati. L’edizione che ho tra le mani è del 1973 e ho forti dubbi che ne esistano versioni attuali, perché non sono riuscito a trovare nemmeno una foto relativa al libro stesso e addirittura non esisteva nel database di Anobii (ora c’è, ho provveduto a segnalarlo).

Il motivo è facilmente spiegabile: si tratta, infatti, di una selezione di brani di Andrić, estratti da diverse sue opere, non di un unico romanzo o racconto. Continua a leggere…

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