Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

Il vecchio con gli stivali

– Disfattista! – mormorava la moglie fra i denti.

– Quello che dicono mi fa schifo! Mi nasconderei sottoterra, per non sentirli!

Ma frattanto quello che “essi dicevano”, glielo dicevano sempre più forte, sempre più dentro l’orecchio; le radio dei vicini erano sempre aperte, facendo tremare, nei bicchieri, nelle caraffe, nei vetri dei balconi e della credenza, i loro evviva e i battimani e “credere! obbedire! combattere!”; e i negozi, essendo scoppiata la guerra etiopica, avevano collocato i megafoni dei loro apparecchi sui balconi, sicché le strade parevano tunnel scavati entro gl’imperiali urli fascisti; e comandamenti, incitamenti, sferzate contro di lui e quelli come lui, teste di potenti, gli entravano in casa coi calendari-réclame, i quaderni e i libri dei figli.

– Impazzirò! – egli disse.

– No – fece la moglie – tu sei già pazzo!

Il ’36 e il ’37 furono gli anni più neri per Aldo Piscitiello. Si sentiva solo come una mosca in gennaio, e aveva paura di passare in quei punti del marciapiede ove l’ombra tempestosa delle bandiere pareva scavare dei vortici. Fu allora che l’avvocato Padalino, ex democratico e mai iscritto al fascio, gli disse:

– Caro Piscitiello, hanno ragione loro, non vede che vincono?

(Vitaliano Brancati, “Il vecchio con gli stivali”)

Il libro “Il vecchio con gli stivali” racchiude una serie di racconti di Vitaliano Brancati, a partire da quello omonimo, il più corposo sotto il profilo quantitativo e anche uno dei più rappresentativi. Il vecchio in questione è Aldo Piscitiello, del quale è narrata, con amara ironia, la vicenda biografica. Ambientato negli anni ’30, in piena era fascista, come la gran parte degli altri racconti, è la storia di un modesto impiegato statale che a cinquant’anni non è ancora riuscito ad avere un ruolo stabile e che si trova minacciato di espulsione perché non aveva aderito, anni prima, al fascismo, non tanto per convinta avversione, quanto perché era un tipo che si “faceva i fatti suoi”, un indifferente. La moglie lo spinge, infine, ad accettare la richiesta non tanto gentile che gli era stata fatta, e così Aldo conserva il posto di lavoro. Presto, però, in occasione delle leggi razziali, si renderà conto dell’orrore rappresentato dal regime e in lui scatterà un sentimento d’odio verso la divisa che ha indossato per salvaguardare l’esistenza della propria famiglia. Più di tutto, a ferirlo è l’impossibilità di spiegare alla moglie, ottusa all’inverosimile, cosa vi sia di male nel fascismo.

Il fascismo è più in generale il clima che si respirava negli anni ’30 in Italia sono, come scritto sopra, al centro di gran parte dei racconti qui raccolti. L’abilità di Brancati è di scrivere su argomenti terribilmente seri senza perdere l’occasione di strapparci un sorriso, per quanto simile a una smorfia di dolore possa essere. Sugli oltre venti racconti, alcuni sono un po’ più deboli come resa, ma nel complesso ho molto apprezzato la capacità di rendere, anche in poche pagine, dei caratteri umani, nei quali sono adombrate spesso delle vicende biografiche di Brancati stesso. Un altro bersaglio dell’ironia dell’autore è D’Annunzio e più ancora i suoi ridicoli, quali possono essere un avvocato alle prese con una casa troppo frequentata o piuttosto un giovane che vuole imitare il suo Vate e di conseguenza corteggia le donne a suon di poesie. Ci sono poi altre storie su personaggi che tornano al paese natio dopo aver provato invano a far carriera nella capitale, c’è una riflessione sulla disoccupazione fatta in maniera originale e non patetica, c’è l’amarezza di chi ha capito che l’orrore non finisce con la sconfitta dei regimi ma va combattuto giorno dopo giorno, ci sono i vecchi che in provincia guardano da dietro le persiane le vite altrui scorrere, insomma ci sono tanti frammenti rappresentati con vivace e malinconica ironia.

Dal racconto principale è stato tratto anche un film, “Anni difficili”, diretto da Luigi Zampa, che però non ho ancora visto.

“La città aveva dato alla luce tre grandi scrittori. Tutti e tre, dopo una vita che aveva molto brillato a Milano e a Roma, erano venuti a morirle nel seno, i due scapoli nel segreto della propria camera e nel cuore della notte, quando nessuno avrebbe sospettato ch’essi s’erano alzati dal letto e avevano poggiato per sempre la testa sopra il vecchio canterano. Scomparso l’ultimo della “triade” i giovani della città, che credevano di dover morire con lui, nelle medesime condizioni di pietosa solitudine e d’invidiabile gloria, si decisero a commemorarlo, con le lacrime agli occhi nel momento in cui ne descrivevano gli “ultimi istanti”, perché in quel vecchio signore, che s’era alzato in pigiama per morire fuori dal letto, vedevano se stessi.

Ma in realtà nessuno di questi giovani riusciva ad essere, nonché famoso, rinomato. I più vivaci e intelligenti partirono dalla città e, con una modestia che li rendeva essa solamente erede dei tre, si contentarono del mestiere di giornalista”.

Lascia un commento