Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

Archivio per la categoria “Smith Zadie”

“Cambiare idea” (Zadie Smith)

Cambiare idea

“Ci sono momenti in cui leggere Wallace diventa insostenibile, e il peso degli ostacoli che si accumulano di fronte al lettore sono insormontabili: mancanza di contesto, complessità retorica, individui orrendi, argomento grottesco o assurdo, lingua che è – allo stesso tempo! – puerilmente scatologica e fastidiosamente sibillina. E se uno è abituato a trovare sollievo nel “carattere” dei personaggi, be’, allora con Wallace si trova davvero in un vicolo cieco. I suoi racconti non indagano affatto il carattere dei personaggi: non se lo propongono neanche. Sono viceversa rivolti all’esterno, verso di noi. È il nostro carattere quello che viene sottoposto a indagine. Ma non si tratta propriamente di metafiction. L’autore di metafiction usava la ricorsività per sottolineare la mediatezza della voce narrante: per dire, in buona sostanza: “Io sono l’acqua, e voi state nuotando dentro di me”. La ricorsività, per questo tipo di autore, significa ritornare su sé stessi, circolarmente, in una serie infinita di regressioni. Questo testo non è neutrale, viene scritto da qualcuno, lo sto scrivendo io, ma io chi sono? E così via. Quello che è “ricorsivo” nei racconti di Wallace non è la sua voce narrativa ma il modo in cui scorrono le storie, e cioè come verbali di processi matematici, in cui almeno una delle fasi del processo richiede una nuova esecuzione di tutto il processo in questione. E siamo noi a doverle far scorrere in questo modo. Wallace ci colloca all’interno del processo ricorsivo, ecco perché leggerlo è spossante sul piano emotivo e intellettuale”.

(Zadie Smith, “Cambiare idea”, ed. Minimum fax)

Se dovessi indicare motivi validi per acquistare “Cambiare idea” di Zadie Smith, mi basterebbe scrivere un articolo nel quale tessere l’elogio del saggio che è contenuto nelle ultime cinquanta pagine, dedicato a David Foster Wallace e in particolare al suo “Brevi interviste con uomini schifosi”. Vincerò questa tentazione Continua a leggere…

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Telefonate al libraio.

Se avete letto qualcosa di David Foster Wallace, ma in particolare “Brevi interviste con uomini schifosi”, forse avrete notato, come me, il breve saggio introduttivo di Zadie Smith.
Adesso dimenticatelo, telefonate in piena notte al vostro libraio di fiducia e ordinate “Cambiare idea” (ed. Minimum Fax) della Smith.
Domani vi parlerò anche delle prime 364 pagine, ma intanto, voi amanti di David Foster Wallace, riprovate a chiamare il libraio, anche nel cuore della notte se non vi ha ancora risposto.
Se siete riusciti ad avere il libro, andate a pagina 365 e cominciate a leggere il saggio di Zadie su David. No, non la versione di quattro pagine che ho citato all’inizio, ma quella di circa cinquanta pagine.
Una volta che l’avrete finito, telefonatemi per raccontarmi che ne pensate.
Infine, telefonate di nuovo al librario e, se non fosse a conoscenza di ciò che vi ha venduto, tenetelo inchiodato al telefono e leggetegli il saggio.

“Denti bianchi” (Zadie Smith)

denti bianchi

“Vedete, Millat non l’amava. E lei pensava che Millat non l’amasse perché non poteva. Pensava che fosse così danneggiato da non poter più amare nessuno. E voleva trovare chi l’aveva danneggiato fino a quel punto, danneggiato in modo tanto terribile, voleva trovare chiunque l’avesse reso incapace di amarla.

Che strano, il mondo moderno. Nelle toilette si sentono ragazze che dicono: “Sì, mi ha scopata e poi se n’è andato. Non mi amava. Era completamente incapace di amare. Era troppo incasinato per sapermi amare”. Ora, com’è accaduto? Che cosa, in questo secolo così poco amabile, ci ha convinti che malgrado tutto siamo da amare come persone, come specie? Chi ci ha portato a pensare che chiunque non ci ami sia in qualche modo danneggiato, mancante di qualcosa, malfunzionante? E in particolare se ci sostituiscono con un dio, o con una madonna piangente, con la faccia di Cristo in un telo di stoffa…allora gli diamo dei pazzi. Degli illusi. Dei regrediti. Siamo così convinti della bontà di noi stessi, e della bontà del nostro amore, che non sopportiamo di credere che possa esistere qualcosa di più degno d’amore di noi, di più degno d’adorazione. I cartoncini per le varie festività continuano a ripeterci che tutti meritano amore. No. Tutti meritano aria fritta. Non tutti meritano amore in ogni occasione.”

(Zadie Smith, “Denti bianchi”)

“Della bellezza” mi era piaciuto di più, ma anche questo non è male. Lo consiglio, anche se non l’ho ancora finito. Nel momento in cui scrivo, mi mancano circa cinquanta pagine ma, non avendo voglia di scrivere una pseudo-recensione (né avendo obbligo a riguardo), mi limito a pubblicare il “rassicurante” brano che precede questa insulsa chiusura di articolo.

La scrittura come “dono” (Zadie Smith su David Foster Wallace)

zadiephoto

“Secondo i critici, Brevi interviste era un libro ironico sulla misoginia. Leggerlo era come essere intrappolati in una stanza con misogini ironici e impasticcati, o qualcosa di simile. Secondo me, leggere Brevi interviste non era affatto come essere intrappolati. Era come essere in chiesa. E la parola importante non era ironia ma dono. Dave ha detto cose geniali sul dono: sulla nostra incapacità di dare gratuitamente, o di accettare quello che ci viene dato gratis. Nei suoi racconti, dare è diventato impossibile: la logica di mercato permea ogni aspetto della vita. Un tizio non riesce a regalare un vecchio attrezzo agricolo; deve dire che costa cinque dollari perché qualcuno si decida a prenderlo. Una persona depressa vuole disperatamente ricevere attenzione ma non sa darla. I normali rapporti sociali sono mantenuti solo perché “sai, non si sa mai, in fondo, o invece sì, o invece sì”.

(omissis)

“Si trattava del suo talento, di una grandezza talmente smaccata da confondere le idee: perché un giovanotto così dotato dovrebbe creare opere così ostiche e complesse? Ma la prospettiva dell’economia del dono va ribaltata. In una cultura che priva quotidianamente della capacità di usare l’immaginazione, il linguaggio, il pensiero autonomo, una complessità come quella di Dave è un dono. Le sue frasi ricorrenti, meandriche, richiedono una seconda lettura. Al pari del ragazzino che aspetta di tuffarsi, la loro osticità spezza “il ritmo che esclude il pensiero”. Ogni parola che cerchiamo sul dizionario, ogni concetto che mette a dura prova cuore e cervello: tutto contribuisce a spezzare il ritmo dell’assenza di pensiero – e ci vediamo restituire i nostri doni. Continua a leggere…

“Della bellezza” (Zadie Smith)

della bellezza

“Senza che nessuno se ne fosse accorto, Howard aveva fatto il suo ingresso nella stanza. Era completamente vestito, scarpe comprese. Aveva i capelli bagnati e pettinati all’indietro. Era forse una settimana che Howard e Kiki non si trovavano nella stessa stanza, quantunque a tre metri di distanza, e ora in pieno contatto visivo, come i ritratti ufficiali a grandezza naturale di due estranei, appesi uno di fronte all’altro. Mentre Howard chiedeva ai ragazzi di uscire dalla stanza, Kiki si concesse il tempo di guardarlo. Ora lo vedeva diversamente; era uno degli effetti collaterali. Difficile dire se questo suo nuovo modo di vederlo fosse più vero di quello precedente. Ma era senza dubbio più crudo, più rivelatore. Adesso scorgeva ogni piega e ogni tremito in una bellezza in declino. Scopriva di poter provare disprezzo anche per le sue caratteristiche più neutre. Le sottili, diafane narici caucasiche. Le orecchie carnose da cui sbucavano peli che Howard si affrettava a rimuovere, ma la cui spettrale esistenza lei continuava a registrare. Le uniche cose che minacciavano di disturbare la sua determinazione erano gli strati temporali di Howard così come le si presentavano dinanzi: Howard a ventidue anni, a trenta, a quarantacinque, a cinquantuno; la difficoltà di mantenere tutti quegli Howard al di fuori della coscienza; l’importanza di non lasciarsi sviare, di rispondere solo all’Howard più recente, quello di cinquantasette anni. Howard il bugiardo, lo spezzacuori, l’impostore.” Continua a leggere…

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