“Cambiare idea” (Zadie Smith)
“Ci sono momenti in cui leggere Wallace diventa insostenibile, e il peso degli ostacoli che si accumulano di fronte al lettore sono insormontabili: mancanza di contesto, complessità retorica, individui orrendi, argomento grottesco o assurdo, lingua che è – allo stesso tempo! – puerilmente scatologica e fastidiosamente sibillina. E se uno è abituato a trovare sollievo nel “carattere” dei personaggi, be’, allora con Wallace si trova davvero in un vicolo cieco. I suoi racconti non indagano affatto il carattere dei personaggi: non se lo propongono neanche. Sono viceversa rivolti all’esterno, verso di noi. È il nostro carattere quello che viene sottoposto a indagine. Ma non si tratta propriamente di metafiction. L’autore di metafiction usava la ricorsività per sottolineare la mediatezza della voce narrante: per dire, in buona sostanza: “Io sono l’acqua, e voi state nuotando dentro di me”. La ricorsività, per questo tipo di autore, significa ritornare su sé stessi, circolarmente, in una serie infinita di regressioni. Questo testo non è neutrale, viene scritto da qualcuno, lo sto scrivendo io, ma io chi sono? E così via. Quello che è “ricorsivo” nei racconti di Wallace non è la sua voce narrativa ma il modo in cui scorrono le storie, e cioè come verbali di processi matematici, in cui almeno una delle fasi del processo richiede una nuova esecuzione di tutto il processo in questione. E siamo noi a doverle far scorrere in questo modo. Wallace ci colloca all’interno del processo ricorsivo, ecco perché leggerlo è spossante sul piano emotivo e intellettuale”.
(Zadie Smith, “Cambiare idea”, ed. Minimum fax)
Se dovessi indicare motivi validi per acquistare “Cambiare idea” di Zadie Smith, mi basterebbe scrivere un articolo nel quale tessere l’elogio del saggio che è contenuto nelle ultime cinquanta pagine, dedicato a David Foster Wallace e in particolare al suo “Brevi interviste con uomini schifosi”. Vincerò questa tentazione Continua a leggere…