“La panchina della desolazione” (Henry James)
“Per lui, quel sedile, termine della sua passeggiata, era sacro; se lo rappresentava da anni come l’ultimo (sebbene ce ne fossero altri, non immediatamente vicino e diversamente disposti, che avrebbero potuto aspirare a quel titolo); così che poteva, con un immediato senso d’irritazione, cogliere di lontano, distinguere mentre si avvicinava, qualsiasi occupazione accidentale, e non avvicinarsi finché la contrarietà fosse durata. Quello che non tollerava era di rompere la tradizione, non importa se per un uomo o per una donna o per una coppia di innamorati; agli imbecilli di quest’ultima categoria era più avverso che a tutti gli altri; perché s’era seduto lì, in passato, solo, vi s’era seduto interminabilmente con Nan, vi s’era seduto – sì, con altre donne, quando le donne, nelle sue ore di libertà, potevano ancora trovare interesse in lui o lui in loro, ma non aveva mai diviso il sedile con estranei irrequieti e sospirosi…”
(Henry James, “La panchina della desolazione”, ed. Passigli)
Seduto sulla panchina della desolazione, unico ristoro di un’esistenza poco soddisfacente, Herbert Dodd scorge una donna raffinata che sembra essere lì per farsi notare da lui. Sulle prime non la riconosce, ma poi si accorge che è Kate Cookham, una lucida calcolatrice che molti anni prima l’aveva ridotto sul lastrico e alla quale era stato legato sentimentalmente, prima di sposarsi con Nan, poi morta. Cosa vuole adesso Kate da Herbert? Perché, a distanza di anni, dell’antico rancore sembrano non esserci più tracce e Kate appare fiorita rispetto alla gioventù?
Henry James, con la consueta abilità nel tratteggiare elegantemente la psiche dei personaggi, ci propone un racconto sull’intreccio, il confine labile che può esserci tra odio e amore, Continua a leggere…