Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

“Un antropologo su Marte” (Oliver Sacks)

Sacks

“Sull’aeroplano per Denver avevo letto un testo eccezionale, scritto da una bambina normale, molto dotata, di nove anni – una storia di fate da lei creata, con un meraviglioso senso del mito: tutto un mondo di magia, animismo e cosmogonie. Mentre camminavamo in mezzo alle code di cavallo, mi chiedevo quale fosse la cosmogonia di Temple. Come reagiva ai drammi o ai miti? Che cosa significavano per lei? Le chiesi dei miti greci, e mi rispose che ne aveva letti molti da bambina e che aveva riflettuto soprattutto su quello di Icaro, di come fosse volato troppo vicino al Sole e le sue ali si fossero sciolte, di come egli fosse precipitato trovando così la morte. <<Comprendo i miti di Nemesi e Ibris>> aggiunse, ma capii che gli amori degli dèi la lasciavano indifferente – indifferente e disorientata. Lo stesso con le opere di Shakespeare: era sconcertata da Romeo e Giulietta (<<Non ho mai capito cosa stessero combinando>>) e si smarriva con tutti gli avanti e indietro di Amleto. Temple attribuiva questi problemi alla sua <<difficoltà di stabilire le sequenze>>; ma sembravano piuttosto derivare dall’incapacità di immedesimarsi nei personaggi e di seguire il complesso intreccio delle loro motivazioni e intenzioni. Temple mi disse che riusciva a comprendere le emozioni <<semplici, forti e universali>>, ma che era sconcertata da quelle più complesse o simulate. <<Molto spesso>>, mi confidò, <<mi sento come un antropologo su Marte>>.”

(Oliver Sacks, “Un antropologo su Marte”, ed. Adelphi)

Di Oliver Sacks, neurologo e autore di questi romanzi neurologici, avevo già letto e apprezzato “L’uomo che scambiava sua moglie per un cappello”; anche il libro oggetto di queste mie impressioni ha come protagonisti diversi pazienti di Sacks, che in “sette racconti paradossali” ci racconta il potenziale anche creativo (oltre che, ovviamente, tragico) della malattia, nello specifico mentale, la capacità di adattamento e la plasticità del cervello umano, che in presenza di disturbi riesce comunque a dotarsi di una nuova organizzazione del , giungendo a metamorfosi che, pur nella drammaticità, portano a modi alternativi di vita, non meno umani di quelli considerati nella norma.

I casi esposti nel libro sono sette e leggendo non si ha mai l’impressione che Sacks voglia trasformare i singoli individui in casi generali, perché di ciascuno ci presenta non solo il disturbo, ma soprattutto la persona, con le sue peculiarità che non necessariamente sono da attribuire alla menomazione. Le storie narrate sono molto diverse tra loro, ma accomunate dall’essere relative a soggetti che, pur avendo un’evidente lesione che non consente loro di vivere un’esistenza a tutto tondo, spesso sviluppano abilità sorprendenti. In tal senso, ad esempio, è esemplare la storia di un chirurgo di successo il quale riesce, mentre opera, a dimenticare la sindrome di Tourette, che in qualsiasi altro momento della giornata lo condiziona. Vi sono poi quelli che, a seguito di una malattia non ben classificabile, diventano dei veri e propri artisti, ad esempio Franco Magnani, che fino a trent’anni non aveva mai dipinto e dopo una degenza comincia a dipingere il paese della sua infanzia, abbandonato tanti anni prima, divenendo preda di un’ossessione e delle strane visioni fotografiche mentali che lo guidano nelle opere, oppure Stephen, bambino autistico che in tenera età riproduce palazzi londinesi con estrema perizia. Com’è ovvio, non mancano storie più tragiche e in cui l’aspetto creativo è meno rilevante, ed in queste Sacks, partendo dal caso specifico, scende più nel dettaglio della sua materia, spiegandoci, ad esempio, cos’è l’acromatopsia, cioè la perdita della capacità di vedere i colori, o l’amnesia che colpisce Greg, o ancora le difficoltà neurologiche/psicologiche di un uomo che, vissuto per decenni senza vedere alcunché, sembra ritrovare la vista dopo un intervento.

“L’immaginazione della natura, come ama ripetere Freeman Dyson, è più ricca della nostra; egli parla, meravigliandosene, di questa ricchezza del mondo fisico e biologico, dell’infinita diversità di forme nel mondo fisico e in quello dei viventi. Per me, come medico, la ricchezza della natura deve essere studiata nei fenomeni della salute e della malattia, nelle infinite forme di adattamento individuale attraverso cui gli organismi umani – le persone – adattano e ricostruiscono sé stessi quando vengono posti di fronte alle sfide e alle vicissitudini della vita.

Difetti, disturbi e malattie possono, in questo senso, avere un ruolo di paradosso, portando alla luce risorse, sviluppi, evoluzioni e forme di vita latenti che, in loro assenza, potrebbero non essere mai osservati e nemmeno immaginati. È proprio il paradosso della malattia, questo suo potenziale <<creativo>>, che forma il tema centrale di questo libro.

Perciò, se è vero che si può inorridire alla vista della devastazione prodotta dai disturbi o dalle malattie dello sviluppo, è vero anche che a volte è possibile considerarle eventi creativi, perché pur distruggendo particolari via, certi modi di fare le cose, possono tuttavia forzare il sistema nervoso ad aprire nuove strade ed escogitare nuovi modi, inducendolo a crescere e ad evolversi in maniera inaspettata. Quest’altra faccia dello sviluppo o della malattia è qualcosa che vedo, potenzialmente, quasi in ogni paziente; ed è proprio di essa che mi interessa parlare qui.”

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8 pensieri su ““Un antropologo su Marte” (Oliver Sacks)

  1. Tema molto interessante… non conosco la neurologia ma da Jung in poi mi sono imbattuta varie volte in questi argomenti… approfondirò.

  2. cronologiadassenza in ha detto:

    L Isola dei senza colore è un’altra sua perla.

  3. Anche io avevo letto solo “La moglie. ..” senza andare oltre. Ultimamente, invece, la morte dell’autore ha contribuito a moltiplicare post sulle sue opere, andando oltre quelle più note. E così mi sono reso conto che, alla fine, andrebbero lette più o meno tutte. Grazie per la suggestione.

    • Io non so perché non avessi letto altro, nonostante il primo mi fosse piaciuto. Sì, la morte di un autore spesso produce uno strano “effetto” postumo, a volte antipatico. Nel mio caso, però, sono stato ben lieto di trovarmi questo libro davanti agli occhi, in libreria, senza che fossi andato lì a cercarlo, “per caso”. 🙂

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