Una frase semplice
Comincio a scrivere con l’idea di una frase semplice, una proposizione formata da soggetto, verbo e complemento oggetto, per esempio “Antonio scrive una frase”, ma prima ancora che la mia mano abbia digitato la parola “Antonio”, la mia mente ha già deciso che dovrò aggiungere un’altra proposizione che aggiunga qualcosa e/o un’altra che specifichi un “perché”, un “come”, un “quando”, un “dove”, ed ecco che la frase semplice non è più tale, ma è già diventata complessa nella mia testa, si è già trasformata in “Antonio scrive una frase e poi la modifica, perché la frase originaria non gli appare sufficiente”, ma il processo è solo all’inizio, perché è evidente che a quel punto fermarsi sarà difficile, avendo a disposizione tutte quelle belle paroline che fungono da elementi di coordinazione o subordinazione delle frasi, quelle “o”, “e”, “ma”, “né – né”, o ancora meglio i “sebbene”, “benché”, “quando”, ma soprattutto lei, la regina delle parole, il “Perché”, che tanti orizzonti spalanca e altrettanti ne lascia inesplorati, e insomma alla fine quella frase, “Antonio scrive una frase”, si è ingigantita ed è diventata, ad esempio (perché gli esempi servono anche ad allungare il periodo, così come le parentesi), una cosa tipo “Antonio scrive una frase e poi la modifica, perché la frase originaria non gli appare sufficiente, ma nel modificarla percepisce che comunque anche la nuova frase sarà insufficiente, perché nonostante gli sforzi lui, in quanto uomo e soprattutto in quanto Antonio, ha dei limiti espressivi che non potrà valicare e sente che, se anche li valicasse, dovrebbe fare i conti con l’inevitabile barriera che si frappone fra lui e gli altri attorno a lui, altri che avrebbero preferito fermarsi alla frase originaria, che forse era insufficiente, ma che almeno, nella sua semplicità, non aveva pretese, anzi aveva il pregio della vaghezza, che lascia spazio all’immaginazione e non si risolve in un esercizio fino a sé stesso, quale è diventato la nuova frase”, una cosa, insomma, che stanca anche chi la scrive, figuriamoci chi la legge, e che porta, oltre che a commettere errori grammaticali che poi dovranno essere corretti a mente fredda, a domandarsi quale fosse il soggetto utilizzato all’inizio della frase originaria, “chi” stava scrivendo di un “Antonio” che scrive una frase, e “chi”, alla fine, ha scritto qualcosa su quel “chi”, tutto questo fino al momento in cui arriva, a salvare tutto e a chiudere un astruso periodo, un salvifico punto.
(“Antonio ha mangiato patate al forno”, un romanzo domenicale)
Ebbene della pasta e patate non scrivi? Mi puoi dire se era cotta al forno e condita con la provola affumicata. Mi puoi dire se era mantecata in padella con aglio, olio, peperoncino e poi servita con un ciuffetto di prezzemolo tritato. Ciao
Non sono ferrato sull’argomento, mi sono limitato a mangiarle, le patate al forno. La pasta era a parte. 😀
Ma dai, quasi quasi mi fai venire in mente Palomar… ;-D
E tu mi hai fatto venire in mente che devo ancora leggerlo. 😀