Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

“Le correzioni” (Jonathan Franzen)

franzen

“ – Vuoi di nuovo cambiare l’arredamento?

– Sono soldi miei, – disse Enid. – E li spendo come mi pare.

– E che ne è dei miei soldi? Di quelli che io ho guadagnato?

Questo argomento era stato efficace nel passato – si trattava, per così dire, del principio costituzionale che legittimava la tirannia -, ma questa volta non funzionò. – Quel tappeto ha quasi dieci anni, e non riusciremo mai a togliere le macchie di caffè, – rispose Enid.

Alfred gesticolò in direzione della poltrona blu, che sotto il telone di plastica del tappezziere sembrava pronta per essere caricata sul cassone di un camion e portata all’inceneritore. Tremava d’incredulità, incapace di pensare che Enid avesse dimenticato quella schiacciante confutazione dei suoi argomenti, quell’irresistibile ostacolo ai suoi piani. Era come se quella poltrona, vecchia di sei anni ma praticamente nuova, rappresentasse tutte le imposizioni che Alfred aveva subito in settant’anni di vita. Sogghignò, con il volto raggiante per la terribile perfezione della sua logica.

– E la poltrona? – disse. – Che ne facciamo della poltrona?

Enid la guardò. Sembrava addolorata, ma niente di più. – Non mi è mai piaciuta quella poltrona.

Quella era probabilmente la cosa peggiore che potesse dire ad Alfred. La poltrona era l’unico simbolo della sua personale visione del futuro. Le parole di Enid lo ferirono a tal punto – si sentì talmente impietosito dalla poltrona, talmente solidale con lei, talmente stupito e addolorato per quel tradimento – che strappò via il telone, sprofondò tra le sue braccia e si addormentò di colpo”.

(Jonathan Franzen, “Le correzioni”, ed. Einaudi)

Nel mio percorso alla scoperta di autori contemporanei, Jonathan Franzen era una tappa che avevo in programma da tempo, avevo letto, su di lui, pareri entusiasti, anche da parte di qualche suo illustre collega che adesso mi “sfugge” e pure qualche stroncatura. L’unico modo per scoprire il mio parere era leggerlo, cosa che ho fatto. Sono rimasto molto soddisfatto da “Le correzioni”, ma voglio partire da un aspetto del romanzo che può risultare respingente, anche se nel mio caso non è stato così. Nel corso della lettura ho avuto, talvolta, l’impressione che Franzen volesse fare sfoggio della sua cultura, snocciolando nozioni su nozioni in ambiti molto diversi tra loro, dalla culinaria alla chimica del cervello, tanto da insospettire il lettore oppure da indurlo a sentirsi “vuoto” rispetto allo scrittore, oppure geloso e arrabbiato nei confronti dello stesso. Ciò, tuttavia, è ampiamente compensato da un romanzo scritto (tradotto) alla grande, avvincente, sarcastico, ironico, tragico, a volte visionario, grottesco, che mi ha tenuto avvinto alla lettura dalla prima all’ultima pagina, il che è un merito enorme, considerando anche la mole (circa seicento pagine).

Il titolo fa riferimento a diversi tipi “correzioni”, ma soprattutto a quelle che i coniugi Lambert e i loro tre figli cercano di imporre agli altri, più che a sé stessi. Enid e Alfred Lambert sono abbastanza reazionari e bigotti, hanno cercato di crescere i loro tre figli, Chip, Gary e Denise, secondo una serie di valori che i figli non hanno poi sviluppato nelle loro esistenze. Il romanzo si apre e si chiude all’insegna di un Natale che la madre, Enid, sogna di poter passare tutti insieme; il marito, Alfred, che vuole ignorare i sintomi del Parkinson ed è alle prese con un brevetto artigianale che è nelle mire di una multinazionale, si trascina nel seminterrato della sua abitazione, in mezzo a una miriade di oggetti di varia natura. Gli oggetti nel romanzo sono presenti ovunque e Franzen inanella descrizioni, accumula, ci trascina in un vortice di parole che ci rendono in pieno la sensazione di una società ormai preda della sindrome da consumo coatto.

I tre figli hanno seguito strade diverse da quelle che i genitori avevano inculcato loro, e cercano, a loro volta, di correggersi a vicenda, di interferire ciascuno con l’esistenza altrui, oltre che su quella dei loro genitori. Chip, a New York, ha perso una cattedra perché accusato di una relazione illecita con una studentessa, e si barcamena come correttore di bozze; Gary, sposato con Caroline, dirigente di banca, depressione strisciante, litiga con la moglie perché questa non vuole andare al Natale, e ha problemi educativi con i suoi tre figli; Denise, reduce da matrimonio precoce, lavora in un ristorante e ha una vita sessuale poco consona agli insegnamenti materni e paterni.

Il tutto si ridurrebbe a una tragicomica vicenda familiare, se Franzen non “approfittasse” delle singole storie dei protagonisti per inserire temi di carattere più generale, affrontati in maniera caustica, talvolta spinta ai limiti del grottesco e della fantapolitica, ma che arricchiscono il romanzo e lo rendono un’efficace immagine di un’America frenetica, con le sue speculazioni borsistiche, gli arrampicatori sociali, i farmaci “ottimizzatori della personalità” che tendono all’egualitarismo di massa, le losche manovre di aziende che in nome del profitto “correggono” qualsiasi tipo di norma.  Non mancano, inoltre, pagine sul sesso, sul lutto, sulla malattia, sul maschilismo e il femminismo, temi che potrebbero prestarsi a una lettura lugubre e malinconica, che pure in qualche passaggio c’è, ma che Franzen, in realtà, sviluppa in modo da farci ridere, magari in modo amaro, dinanzi a situazioni tragiche che diventano comiche grazie alla sua penna.

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8 pensieri su ““Le correzioni” (Jonathan Franzen)

  1. Un contemporaneo che manca da troppo tempo! E la tua recensione mi ha assolutamente confermato la necessità di leggerlo 😉

  2. roceresale in ha detto:

    Narrazione di grande respiro, le chiamo così, da naif quale sono. Quelle americane, che dentro si sente il cielo sconfinato, anche quando corretto.

  3. Moralia in lob in ha detto:

    Anch’io lo lessi tempo fa. Dispiace non trovare la recensione, ma era sul mio vecchio blog ora defunto. Cmq non condivido i tuoi toni entusiastici, è un buon libro, ma Frazen è un tantino sopravvalutato per me.
    Ciao

    • Non so se è sopravvalutato o no, io avevo letto sia recensioni entusiaste che stroncature. A me è piaciuto molto, poi, ma questo non l’ho messo nell’articolo perché lo do per “scontato”, è chiaro che Franzen, ai miei occhi, (di cui peraltro ho letto solo questo libro) non è Dostoevskij. 🙂

  4. Pingback: “Purity” (Jonathan Franzen) | Tra sottosuolo e sole

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