Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

“Morire” (Arthur Schnitzler)

schnitzler

“Un pomeriggio, quando per la prima volta dopo tanta pioggia il cielo sembrò schiarirsi, si sedettero nuovamente in terrazza e Felix disse d’un tratto, senza riallacciarsi a un discorso precedente: – La gente di questo mondo, si sa, è tutta condannata a morte.

Marie alzò gli occhi dal lavoro.

– Dunque, – proseguì, – immagina, per esempio, che qualcuno ti dica: Cara signorina, lei morirà il 1°maggio 1970. Passeresti il resto della tua vita nel terrore di quel 1°maggio, sebbene tu oggi non creda certo di arrivare a 100 anni.

Lei non rispose.

Felix continuò a parlare guardando intento il lago scintillante al riflesso dei raggi del sole che facevano capolino tra le nuvole.

– Altri invece se ne vanno in giro fieri e sani e un accidente qualunque se li porta via nel giro di poche settimane. Ma non pensano affatto di dover morire, non è così?”

(Arthur Schnitzler, “Morire”, ed. Letteratura Universale Marsilio)

Sigmund Freud, in occasione del sessantesimo compleanno di Schnitzler, quindi nel 1922, confessò allo stesso Schnitzler di aver evitato d’incontrarlo “per una sorta di paura del doppio…Il Suo determinismo, il Suo scetticismo – che la gente chiama pessimismo – il Suo essere dominato dalle verità dell’inconscio, dalla natura istintuale dell’uomo, il Suo demolire le certezze culturali tradizionali, l’aderire del Suo pensiero alla polarità di amore e morte, tutto questo mi ha colpito con un’insolita e inquietante familiarità”.1 Già leggendo altre opere di Schnitzler, quali “Doppio sogno”, “Il sottotenente Gustl” e “Il ritorno di Casanova”, avevo apprezzato la sua abilità nel descrivere i processi mentali, spesso oscuri e ambigui, che sottostanno al comportamento “esteriore” dei protagonisti delle sue narrazioni; “Morire”, opera più giovanile ma non per questo meno interessante, ha confermato la mia opinione favorevole su quest’autore.

La novella è del 1894 e lo stesso autore fu scettico circa la possibilità che potesse essere pubblicata e apprezzata dal pubblico, considerato il contenuto della stessa. Felix, un intellettuale, forse scrittore, anche se la cosa non è evidenziata in maniera limpida, sa di essere malato, e soprattutto sa che gli resterà da vivere all’incirca per un altro anno. A rivelarglielo non è stato Alfred, medico e suo amico, bensì un luminare che gli ha sbattuto in faccia l’amara verità. La novella si apre con Felix che, in un giorno all’apparenza come tutti gli altri, svela il suo segreto anche alla sua compagna, Marie. Schnitzler, quindi, ci pone subito di fronte all’atto conclusivo di una storia d’amore, risparmiandoci ciò che di bello può esserci stato in precedenza. La sua formazione scientifica (fu medico, prima di dedicarsi completamente alla letteratura) fa si che la sua sia una sorta di diagnosi clinica, priva di addolcimenti letterari o mitizzazioni della morte. Peraltro, più che l’atto in sé, il momento della morte, l’oggetto della novella è il processo del morire, e le conseguenze che innesca nel rapporto di coppia tra Felix e Marie.

La paura di fronte alla morte, che attanaglia i due in maniera diversa e spesso alternata, l’ambivalenza del sentimento d’amore, le menzogne che i due debbono dirsi reciprocamente per tirare avanti di fronte all’ineluttabile evento, questi sono i principali temi affrontati da Schnitzler, che distacca i due dal resto del mondo. Non ci sono altri protagonisti nella storia, salvo i due medici citati. Gran parte degli accadimenti, inoltre, sono interiori. Felix è consapevole della sua prossima sorte e, all’inizio, vorrebbe liberare Marie dal vincolo che la lega a lui, perché sa che per lei l’esistenza è destinata a continuare; lei, dal canto suo, promette di amarlo e seguirlo fino alla fine, giungendo anche a promettere qualcosa che, poi, non saprà mantenere. Il rapporto tra i due, infatti, muta in continuazione, in un’alternanza continua. La pulsione verso la morte e quella verso la vita attraversano Felix e Marie lungo l’arco temporale che li porterà al drammatico epilogo; non mancheranno, infatti, lampi di serenità, durante i quali Felix si accorgerà di quanto possa essere bello il mondo e di come lui non se ne fosse mai accorto prima della tragica scoperta. Sullo sfondo, però, resta sempre, incombente, lo scorrere inesorabile del tempo, un lento ma implacabile stillicidio che condurrà all’inevitabile.

Schnitzler, che forse non raggiunge vette di lirismo e di mistero affascinante come, per esempio, in “Doppio sogno”, è comunque abile nel trattare una materia così delicata e nel mostrarci l’intreccio talvolta inesplicabile tra l’amore e la morte.

“- Ascolta, – disse Marie, – non pensare a queste sciocchezze, dovresti sapere anche tu che guarirai.

Lui sorrise.

– Certo, tu sei proprio di quelli che guariscono.

Felix scoppiò in una risata. – Bambina mia, credi veramente che io mi lasci abbindolare dal destino? Credi che mi lasci ingannare da questo benessere apparente con cui la natura, ora, mi rende felice? Si dà il caso che io sappia a che punto sono e il pensiero della morte vicina fa di me un filosofo, come è successo anche ad altri grandi uomini.

– Ma smettila una buona volta!

– Oh! mia cara signorina, io devo morire, e lei non deve neanche avere il leggero fastidio di sentirmene parlare?

Marie mise da parte il lavoro e gli si avvicinò. – Io sento, – disse in tono di sincera convinzione, – che non ti perderò. Non puoi certo essere tu a giudicare come ti stai riprendendo. Devi smettere di pensarci e ogni ombra uscirà dalla nostra vita.

Felix la osservò lungamente. – Sembra proprio che tu non riesca a capirlo. Bisogna proprio mettertelo davanti. Guarda. – Prese in mano il giornale. – Cosa c’è scritto?

– 12 giugno 1890.

– Bene, 1890. E ora immagina che al posto dello zero ci sia un uno. A quell’epoca tutto sarà già finito da un pezzo. Lo capisci adesso?

Gli strappò il giornale di mano e lo scagliò a terra con rabbia.”

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13 pensieri su ““Morire” (Arthur Schnitzler)

  1. Di Schnitzler ho letto solo La Signorina Else.. direi che devo assolutamente recuperare!

  2. Ho l‘impressione che dagli anni ‘80 la morte sia come scomparsa dalla nostra cultura, mi sembra tutto un invito all’ immortalità, all’ eterna giovinezza, come se la morte fosse un incidente o un atto criminale, quasi fosse un po‘ colpa nostra, se alla fine andiamo al creatore.
    Cultura occidentale intendo, certo, ad esempio in quella sudamericana è un tema molto vivace.
    Che brutta cosa siamo diventati.

    • Invece si muore, almeno così pare. Sono d’accordo con te, anche se, più che scomparsa, direi che è evidenziata (la morte, intendo) solo quando è cruenta o legata a eventi di cronaca di vario tipo. Sotto questo profilo, anzi, è sin troppo spettacolarizzata.
      In ogni caso, il singolo individuo può sempre dedicarsi, nel chiuso della propria stanza, a riflessioni su questo argomento. 🙂 (il sorriso finale è un palese tentativo di sorridere laddove c’è poco da sorridere)

  3. Giusto, anche perché Brancaleone c’insegna che…

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