“Il giorno della locusta” (Nathanael West)
“Parlava e parlava, gli disse come ci si fa strada nel cinema e come lei intendeva far carriera. Erano tutte sciocchezze. Mescolava consigli malcompresi pescati nei giornali di cinema con brani presi dalle riviste illustrate, integrando il tutto con le leggende che circondavano l’attività dei divi e dei magnati. Senza percepibile transizione, le possibilità diventavano probabilità e si concludevano in inevitabilità. Da principio s’interrompeva ogni tanto e aspettava che Claude le facesse eco con calorosi assensi, ma una volta lanciata tutte le sue domande si fecero retoriche e il fiume di parole prese a scorrere senza una pausa.
Nessuno degli uomini l’ascoltava veramente. Tutti erano troppo occupati a guardarla sorridere, fremere, sussurrare, indignarsi, incrociare e disincrociare le gambe, cacciar fuori la lingua, spalancare e socchiudere gli occhi, scuotere la testa in modo che i capelli platinati schizzavano contro la felpa rossa dello schienale della poltrona. Lo strano era che i suoi gesti, come i suoi atteggiamenti, non illustravano ciò che veramente andava dicendo. Erano quasi allo stato puro. Era come se il suo corpo sapesse quant’erano stupide le sue parole e cercasse di eccitare gli ascoltatori fino a privarli d’ogni senso critico. Quella notte la cosa riuscì; a nessuno passò per la testa di ridere di lei. Loro unico gesto fu di stringere il cerchio intorno a lei.”
(Nathanael West, “Il giorno della locusta”)
W.H. Auden, nel breve saggio che precede l’edizione Einaudi di “Il giorno della locusta”, afferma che i personaggi di West sono afflitti dalla sindrome di West, che Auden definisce come “una malattia della coscienza che la rende incapace di trasformare i suoi desideri in atti di volontà”, e sono egocentrici, non egoisti, perché a suo dire “l’egoista è colui che soddisfa i propri desideri a spese altrui; per questa ragione cerca di vedere come realmente sono gli altri, e spesso li vede con estrema esattezza per potersene servire. Per l’egocentrico, invece, gli altri esistono solo in quanto immagini di quello che egli è o non è, i suoi sentimenti nei loro confronti sono proiezioni della pietà o dell’odio che egli prova per se stesso, e tutto quello che fa a loro è in realtà fatto a se stesso”. Ho riportato questi passaggi perché mi è parso, leggendo il romanzo, che Auden abbia colto nel segno, soprattutto con riferimento al tema del desiderio, molla che muove gran parte dei personaggi narrati da West nonché causa della loro alienazione e disperazione.
“Il giorno della locusta” fu definito da Francis Scott Fitzgerald “il più grande romanzo mai scritto su Hollywood”. Il riferimento alla locusta credo sia dovuto al fatto che quest’animale, in determinate condizioni, risulta essere letale quando si muove in branco. Hollywood, dunque, la patria del cinema al centro di questo romanzo tragicomico, pieno di personaggi strambi che desiderano qualcosa di diverso da quel che hanno e che sono destinati a impazzire o morire per questa loro bramosia inappagabile. Tod Hackett è il protagonista principale. Giovane che studia da sceneggiatore e costumista, dipinge e ha intenzione di ritrarre in quadro, “L’incendio di Los Angeles”, le follie e le illusioni infrante di coloro che, a suo avviso, sono “gente venuta in California a morire”, inconsapevole, peraltro, di appartenere anch’egli a quella gente. Attorno a lui, West tratteggia, con uno stile che alterna momenti satirici ad altri toccanti, una pletora di personaggi ambigui, arrivisti, o anche più semplicemente ingenui sprovveduti. Faye, la ragazza diciassettenne bramata da tutti, che ha come obiettivo quello di sfondare come attrice e che usa tutte le armi a sua disposizione per tale scopo; un nano maligno; un venditore clownesco che in realtà è un attore in cattive acque; un cowboy con ambizioni da playboy ma dal portafogli sempre vuoto. Poi, un nome conosciuto a molti per altre vie. Homer Simpson, sì, proprio un omonimo del famoso cartone animato. Ho scoperto solo ora che l’autore dei Simpson stessi ha dichiarato di essersi ispirato, per il nome, al protagonista del romanzo di West, che al contrario del suo omonimo non è un gran bevitore, bensì un contabile d’albergo, solitario, incline a fantasticherie sentimentali irrealizzabili.
Hollywood è sullo sfondo e West non manca, qua e là, di mettere in evidenza il delirio del pubblico per l’arrivo di un grande attore, le mamme che spingono i propri bimbi verso una luminosa carriera, gli articoli dei giornali pompati ad arte e soprattutto l’atmosfera dei ricevimenti a bordo piscina, con tanto di cani in porcellana a far da guardia.
Nathanael West e il suo romanzo, insomma, si sono rivelati, per me, una tardiva e piacevole scoperta.
Lo leggerò!
🙂
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