Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

“Creatività” (Emilio Garroni)

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“Le capacità creative umane di adattamento rivelano nello stesso tempo i rischi cui si è esposti, la frammentarietà e limitatezza del controllo pratico-intellettuale, l’impossibilità insomma di un “adattamento totale” mettendo così in crisi l’idea falsa e regressiva (e quindi ben più pericolosa) o piuttosto il desiderio allucinatorio di un’evasiva “sicurezza assoluta” (che non può essere altro di fatto che la sicurezza del porcellino di terra, cui la morte sopravviene inopinatamente dall’esterno, “per caso”, come “per caso” esso sopravvive); ma per ciò stesso restaurano l’unica, realistica garanzia di adattamento su cui è possibile contare. Si ritrova qui la giustificazione propriamente estetica (Kant avrebbe parlato di “conservazione dello stato d’animo”, cioè di “piacere”) di una specializzazione estetica, in quanto già radicata nelle esigenze di un adattamento pratico-conoscitivo. È infatti su quella garanzia, specificamente umana, che può e in qualche modo deve nascere una specializzazione della creatività come tale: ciò che nella conoscenza e nel comportamento pratico è fonte di ansia consapevole può e in qualche modo deve divenire – in una specializzazione estetica – stato d’animo rassicurativo, contropartita dell’ansia, integrazione sentimentale, tale da rendere “sicura”, per così dire, la stessa “insicurezza”, in quanto compresa e dominata mediante un’operazione, anche soltanto soggettiva, di anticipazione e totalizzazione dell’esperienza possibile.”

(Emilio Garroni, “Creatività”, ed. Quodlibet)

“Creatività”, edito dalla Quodlibet, è un volume che raccoglie il saggio di Emilio Garroni pubblicato, in origine, come voce omonima dell’Enciclopedia Einaudi per l’anno 1978. Questa notizia, unita alla considerazione che l’autore è stato per anni Professore di Estetica all’Università La Sapienza di Roma, dovrebbe farvi comprendere quanto per me sia difficile scriverne, e predisporvi a uno stato di magnanimità nei confronti del sottoscritto circa quanto andrò a elaborare. La premessa generale, infatti, è che molti passaggi mi sono risultati oscuri o incomprensibili, perché contenenti riferimenti ad argomenti che non ho trattato mai con frequenza o in maniera specializzata. Nonostante ciò, se sono qui a scriverne e a suggerirne la lettura, è perché quello che ho inteso mi ha appagato, donandomi spunti per ulteriori letture o anche solo per riflessioni.

Mentre leggevo il libro, ho preso appunti su un foglio. Potrei copiare tutto di sana pianta qui, fornendo al tempo stesso una dimostrazione sia del caos di nozioni che ho dovuto domare sia della vastità di argomenti affrontati da Garroni. Leggo, sul foglietto: “gli abusi della parola creatività”, “la capacità d’innovare come patrimonio genetico che porta alla variabilità della nostra specie”, “Chomsky”, “il ricordo alle categorie kantiane”, “la grossolanità dell’opposizione natura – cultura (dogmatismo rassicurante)”, “la creatività come problema scientifico”, “la conoscenza come costruzione, non fondata né solo sul soggetto, né solo sull’oggetto”, “Wittgenstein”, “Piaget”, “la regola come condizione necessaria ma non sufficiente a spiegare l’applicazione ludica” e così via. Non è chiaro di cosa tratta il volume? Ve l’avevo premesso che non ci avevo capito granché.

Caos a parte, nel testo Garroni affronta il tema della “creatività”, con ampie digressioni in discipline quali la biologia, l’etnologia, la linguistica, la filosofia e, ovviamente, l’estetica. La “creatività” di cui si tratta non è da intendersi come la facoltà di inventare mondi popolati da cani a sette teste, o almeno non è in via prioritaria questa, che al più può esserne una (surreale) specializzazione. La “creatività” oggetto dell’analisi dell’autore è la facoltà dell’essere umano di adattarsi alle diverse circostanze dell’esistenza riprogrammando il proprio “vocabolario” di conoscenze, una “creatività” riportata a criteri scientifici e non più relegata in una sfera mitologo-romantica.

Come scritto, i riferimenti alle altre discipline sono costanti e la difficoltà del volume consiste proprio nel fatto che, a meno di non avere una cultura enciclopedica e specialistica (nel qual caso, vi faccio i miei più sinceri complimenti) alcuni passaggi potrebbero essere davvero ostici. Io ho potuto barcamenarmi con agilità quando sono stati tirati in ballo Wittgenstein e Kant, non perché ne sia esperto ma perché almeno avevo idea di cosa s’intendesse per “giochi linguistici” o per “Critica del giudizio”, mentre qualche difficoltà in più l’ho avuto già quando è stato tirato in ballo Chomsky e le sue “rule-governed creativity” e “rule-changing creativity”.

A farla breve, ribadisco che si tratta di un testo che richiede una certa preparazione di base e soprattutto un forte interesse, tale da vincere le resistenze incontrate nella lettura e stimolare, semmai, ad approfondire ciò che non si conosce, in modo da poterlo rileggere più in là nel tempo, e avere maggiori nozioni per poter concordare o dissentire (so che suona come una bestemmia, ma può succedere) con quanto scritto da Garroni. Molto interessanti anche la prefazione (di Paolo Virno) e la bibliografia (cito alcuni nomi a me noti: Bergson, Darwin, De Mauro, Descartes, Gadamer, Kant, Wittgenstein).

Vi lascio con un passaggio che fa riferimento anche alla teoria dei “giochi linguistici” delle “Ricerche filosofiche” di Wittgenstein, altro volume che con l’occasione vi consiglio di leggere prima o poi se v’interessano certi argomenti.

“Il gioco privo di regole, al pari del linguaggio, sarebbe non tanto uno strano gioco, ma non sarebbe affatto un gioco. Non sarebbe possibile come gioco. Wittgenstein, è vero, suppone anche a un certo punto che si possa pensare a un gioco che si giochi inventando via via le regole da applicare (secondo la massima “make up the rules as we go along”), ma non giunge affatto alla conclusione che si possa eliminare in ogni senso ogni regola. Inoltre la stessa invenzione di una regola – se è appunto regola e non atto casuale, privo d’incidenza sul gioco – non è sottratta a sua volta ad una qualche regolarità: essa suppone almeno una regola precedente con la quale sia compatibile e con la quale deve in qualche modo integrarsi. Se un giocatore  quando tocca a lui la mossa o l’azione – potesse decidere d’inventare indipendentemente da ogni regola precedente proprio la regola che gli attribuisce la vittoria, il gioco non potrebbe neppure cominciare e vincerebbe – prima di ogni gioco – colui che semplicemente avesse inventato la regola a lui favorevole: o meglio vincerebbe chi per primo dicesse “ho vinto”. Che sarebbe a suo modo una regola, ma di un gioco diverso: il gioco della rapidità e della sopraffazione – come accade nel gioco infantile del “Pizzico a te, fortuna a me!”.

(Emilio Garroni, “Creatività”, ed. Quodlibet)

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3 pensieri su ““Creatività” (Emilio Garroni)

  1. Ciao Antonio, no ho mai letto Garroni, ma sembra molto interessante,
    anche se mi manca un po’ de vocabolario in italiano per capire tutto nel tuo post;
    ma quando vengo al tuo blog, sono sicura di sempre trovare buona lettura.
    Un abbraccio ~~Jussara

    • Ciao, il testo è interessante, però ci sono molti termini tecnici, filosofici, linguistici, quindi potresti avere qualche difficoltà se (come dici tu stessa) hai qualche piccola mancanza in tal senso. Oppure, perché no, potresti migliorare il tuo italiano, che a me peraltro non sembra così male. 🙂

      • Grazie, mi piace molto leggere in Italiano, ma so che a volte il significato del
        testo ( quando è dissertativo ) e l’intenzionalità dell’autore possono essere persi
        per me, ma migliorare il mio italiano è una buona idea :))
        Un abbraccio per te~~

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