Tra sottosuolo e sole

(Non) si diventa ciò che (non) si è.

A luce rossa.

– La luce rossa dello stereo è accesa.

– Hai ragione. Ho dimenticato di spegnerla.

– Grave! “Ricordo sempre tutto, anche i dettagli”, non dicevi così?

– Mi riferivo alle parole, a quel diciamo la sera e poi scordiamo la mattina, agli sguardi…non certo al Led dello stereo.

– Può darsi, ma forse la tua memoria perde colpi. Ammettilo.

– Con il passare degli anni ho imparato a dimenticare.

– Adesso non attaccare con la storia dell’oblio come facoltà attiva…non tirare fuori il solito Camus…si tratta solo di uno stupido led dello stereo…

– Camus non c’entra, l’oblio attivo è Nietzsche…

– Sì, Camus, Nietzsche, quello che vuoi…non tirarli fuori comunque, non è il momento.

– Ah ah ah! Ok…ti risparmio, mi risparmio!

– Anche perché in caso contrario stasera resteresti a ‘digiuno’

– No, no, ho una certa ‘fame’, e mi pare di capire che ne hai anche tu…

– Vedremo. Intanto vuoi andare a staccare la spina o devo smuovere io il culo?

– Vado. Ma prima aspetta. Tu come la ‘vedi’ quella luce?

– Come vuoi che la veda? Un punto rosso nell’oscurità.

– No, volevo dire, a cosa ti fa pensare?

– Ma che domanda è?

– Dai, un po’ di fantasia!

– La fantasia preferisco usarla per qualcosa di più piacevole…

– Che fai, alludi?

– Non alludo, ti dico che penso proprio al sesso.

– Sì, va bene, tempo al tempo, ma rispondi, cosa ti viene in mente se guardi quel punto rosso?

– Un fanale di un’auto che arriva da lontano, su un’autostrada.

– Ecco, vedi che se ti sforzi qualcosa tiri fuori!

– E tu? A cosa pensi se lo guardi?

– A un formicaio, a tante formiche rosse che si muovono apparentemente senza senso.

– Un formicaio? Non ho mai visto formiche così rosse! Ma perché dici un formicaio?

– Io non vedo un punto rosso, ne vedo tanti.

– Magari se indossi gli occhiali ci vedi meglio!

– Ecco, brava, hai centrato il punto.

– Quale punto? Ho detto una banalità!

– Gli occhiali. Vedi, quel che a te ora appare come un unico e uniforme punto rosso, senza occhiali a me appare sotto forma di tanti puntini minuscoli.

– E con questo? Sei miope, mi pare ovvio.

– Sì, ma pensa…gli occhiali sono un filtro con il quale io vedo le cose, senza il quale le stesse cose mi appaiono diversamente. E poi, guarda, se chiudo l’occhio destro, i puntini sembrano ancora di più, se chiudo il sinistro sono di meno, ma non ancora uno solo come appare a te.

– È molto semplice. Una questione di diottrie. L’occhio destro è meno cieco, tutto qua.

– Vabbè, fai finta di non capire! Non mi dai corda!

– Certo che no! Lo so dove vuoi andare a parare! Le categorie kantiane? L’apparenza e la realtà? La superficie e la profondità delle cose? Quello che pensiamo degli altri e ciò che essi sono? E così via…ma non ti seguo, sappilo, ho intenzione diverse per noi due stasera…

– È una minaccia? Comunque sì, più o meno pensavo a quello, ma anche a qualcos’altro, solo che non riesco a spiegarlo…

– Ma ti ripeto che non io non voglio che tu mi spieghi alcunché? Cosa ne ricaveremmo?

– Ma non sei curiosa neanche un po’?

– Mica tanto, ho altre curiosità, ma se continui così me le fai passare, e ti ripeto che resti a digiuno…

– Ok, ok…mi era venuta in mente una riflessione sul bisogno di unità che abbiamo tutti noi, di vedere “un” puntino anche se non è uno, ma naturalmente tutto in una chiave diversa, non è che sto pensando al punto in sé…

– Ora capisco perché quando t’incontrai la prima volta mi dicesti che le ragazze scappavano…

– Perché?

– Perché non mi sembra il caso di parlare di luce rossa, di categorie mentali, di unità, molteplicità, cioè, non nel momento in cui ti sto addosso…

– Ah ah ah! Vabbè, ma è anche vero che se mi stai addosso è anche perché parlavamo di quelle cose, o no?

– Ah, chiedilo a qualche tuo filosofo se è proprio così!

– Sei crudele.

– Mi farò perdonare. Hai finito la lezione, possiamo dedicarci all’intervallo o hai da aggiungere qualcosa?

– Veramente…ecco…ci sarebbe da discute molto…sul perché il “tuo” punto rosso e i “miei” puntini, pur essendo la stessa “cosa”, sono anche cose diverse, sull’invisibile che si dà nel visibile…

– Sì, sì, la filastrocca che mi raccontavi l’altro giorno, e poi magari ti comincerai a chiedere perché se pronuncio la parola “rosso” pensi a quel colore, e tirerai fuori Witt…come cavolo si chiama…

– Wittgenstein.

– Sì, quello lì. Tutto molto interessante, ma vediamo se adesso ti faccio pensare a un punto diverso…

– Beh, oddio, dipende da come presenti l’argomento…

– Per esempio se…ecco…mi posiziono così…più aderente a te, alla tua bocca e al tuo corpo…se…

– Beh, messa così…dico che Wittgenstein mi perdonerà…forse…ma tu…anche tu ti stai dimenticando il led acceso ora…

– È che voglio dimostrarti subito che anche il sesso è una facoltà attiva, non solo l’oblio del tuo baffuto Nietzsche…

P.s.: ogni riferimento a fatti o persone è da intendersi volutamente personale. Nel senso che è riferito solo a me, è accaduto tutto nella mia mente. Mi sono sdoppiato in un Lui e una Lei. L’articolo, in sostanza, non è un resoconto porno, non ha pretese filosofiche, al massimo è un contributo alla fantascienza.

“Allevare un animale, cui sia consentito far delle promesse – non è forse precisamente questo il compito paradossale impostosi dalla natura per quanto riguarda l’uomo? Non è questo il vero e proprio problema dell’uomo? Il fatto che questo problema sia risolto fino a un alto grado dovrà apparire tanto più sorprendente a colui che sa pienamente apprezzare la forza agente in senso contrario, quella del dimenticare. Dimenticare non è una semplice vis inertiae, come ritengono i superficiali, ma piuttosto una facoltà attiva, positiva nel senso più rigoroso, d’inibizione, cui è da ascriversi la circostanza che qualunque cosa venga da noi vissuta, sperimentata, assunta nella nostra intimità, entra tanto poco nella nostra coscienza nello stato di digestione (si potrebbe chiamarlo “appropriazione spirituale”) quanto poco vi entra l’intero multiplo processo con cui si svolge il nostro nutrimento corporeo, la cosiddetta “assimilazione”. Chiudere di tanto in tanto porte e finestre della coscienza; restare indisturbati dal rumore e dalla lotta con cui il mondo sottostante degli organi posti al nostro servizio svolge la sua collaborazione od opposizione; un po’ di silenzio, un po’ di tabula rasa della coscienza, affinché vi sia ancora posto per il nuovo, soprattutto per le funzioni e i funzionari più nobili, per governare, per prevedere, per predeterminare (il nostro organismo è infatti organizzato oligarchicamente) – è questo il vantaggio – come si è detto – della dimenticanza attiva, una guardiana, per così dire, una sorvegliante dell’ordine spirituale: per cui occorrerà subito considerare in che senso nessuna felicità, nessuna serenità, nessuna speranza, nessuna fierezza, nessun presente potrebbe esistere senza capacità di dimenticare”.

(Friedrich Nietzsche, “Genealogia della morale”, Seconda dissertazione, I)

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